La stampa internazionale sta riportando in queste ultime ore le foto di noti atleti neri dello sport americano che indossano le magliette con la scritta “I can’t breathe”, l’ultimo sussulto dell’afroamericano Eric Garner prima di morire soffocato da una presa di un poliziotto di New York. Sullo sfondo anche le morti recenti, con evidenti responsabilità da parte della polizia statunitense, di Michael Brown, Tamir Rice, Akai Gurley ed altri ancora.

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A volte capita che siano ad essere gli atleti o giocatori ad esprimere il loro dissenso contro le forme di razzismo all’interno dello spazio dove vanno a giocare.

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Nei giorni passati il mondo del calcio ha appuntato diverse situazioni e dimostrazioni interessanti, su cui fare attenzione. Ad esempio, sabato 25 ottobre, durante il match Borussia – Hannover, i tifosi della BVB hanno esposto in curva alcuni striscioni molto evidenti di carattere anti razzista ed anti nazista, che recitavano ad esempio “Benvenuti rifugiati”, oppure “30 giocatori, 13 nazioni, un BVB”, ed altri ancora.

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Se in Italia il "rilancio" del calcio deve passare per le mani e le idee di Tavecchio stiamo messi male.

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CHRISTIAN KAREMBEU [Lifou (Nuova Caledonia), 3/12/1970)

12 Luglio 1998. Francia, Saint-Denis, “Stade de France”. È la finale dei mondiali e, per la prima volta nella sua storia, la Francia ne è protagonista. Vincere un mondiale è il sogno di qualsiasi bambino cominci a calciare un pallone, vincerlo nel proprio paese rappresenta l’apoteosi.

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Quella andata in onda ieri, e lo sarà per le prossime settimane, è l’ennesimo massacro mediatico ai danni di Mario Balotelli. Se è indubbio che in un’Italia, paese di santi e di allenatori, la caccia al capro espiatorio per l’eliminazione ai Mondiali è sempre stato sport nazionale, è altrettanto vero che qualcosa di analogo non è accaduto nel 2010, quando invece le recriminazioni erano state sulle mancate convocazioni. Oggi invece nessuno si lamenta delle assenze (in primis Pepito Rossi), ma ci se la prende con chi in Brasile c’era. Qualcuno (Moggi e Salvini) ha tentato di rinverdire il solito refrain che la colpa è degli oriundi, mettendone in dubbio l’amor di patria, ma con le ultime dichiarazioni di Prandelli e di alcuni “senatori” le colpe sono ricadute soltanto su Balotelli, che certamente colpe ne ha, ma non quelle chi gli vengono attribuite dai compagni di squadra, dall’allenatore e dai media.
A sua difesa c’è da dire: che è stato l’unico, con Marchisio, a metterla dentro, e che l’unico gol vittoria è stato il suo; che è vero che ha sbagliato uno o due gol facili, ma perlomeno è riuscito a tirare in porta, in un Mondiale dove gli azzurri in duecentosettanta minuti hanno centrato la porta non più di cinque sei volte; che dare la responsabilità di essere “il salvatore della Patria” (Prandelli) ad un ragazzo di ventiquattro anni è un bluff per nascondere le pochezze degli altri, e soprattutto impostando un modulo di gioco che rendeva quasi impossibile a Balotelli di “salvare la patria”; che è vero che ha preso due gialli, ma Marchisio, che ha preso un rosso diretto, non è stato vittima dello stesso trattamento. E poi: perché tanto accanimento su un gol sbagliato (quello con la Costa Rica), mentre si preferisce il silenzio sui responsabili dei tre gol beccati dall’Italia? Indubbiamente, molti “senatori” godono di un buon ufficio stampa, lo stesso ufficio che li riesce a sempre premiare con voti non sempre meritati: come nel caso di Pirlo, assai deludente sia con il Costa Rica e ancor più con l’Uruguay, o di Buffon, co-responsabile del gol preso dal Costa Rica. Se Balotelli è stato inconcludente, cosa dire dei suoi sostituti Immobile, Cerci e Insigne? Se poi vediamo i calci presi di sicuro Balotelli è stato tra i più colpiti (e pare che questo fosse un suo “dovere”, secondo il ct). Balotelli ha dichiarato di aver dato tutto (e vederlo spesso in difesa ne è una prova).


Quello che forse lui non sa è che l’Italia da lui vuole l’impossibile, vuole almeno un paio di gol a partita, sennò il voto sarà sempre insufficiente. La Gazzetta dello Sport, nello stesso giorno della partita con l’Inghilterra, decretava “Ultima chiamata per Balotelli”, a dimostrazione della “fiducia” nei suoi confronti Il giorno dopo, visto il gol vittoria, non ha trovato di meglio che titolare: “Balo: il re della giungla”, quasi avesse nostalgia della vignetta di Marini che alla vigilia di un’altra Italia Inghilterra (Europei 2012) riproduceva un Balotelli/King Kong che si arrampicava da scimmione sul Big Ben. Se vinci sei una “scimmia”, se perdi non sei un vero uomo. Come lamentarsi poi che sui social network impazza il cripto razzismo? Non so se i “negri”, come dice Balotelli, non l’avrebbero scaricato con questa facilità. E’ indubbio che uno spogliatoio così non l’aiuta, così come non l’aiuta – a differenza degli altri compagni di squadra - una società, come il Milan, che di fatto l’ha già messo in vendita (prima dei Mondiali).
C’è già chi proclama che l’Italia del dopo Prandelli potrà fare a meno di Balotelli. Il problema è che abbiamo dubbi che possa essere un’Italia migliore, perché i talenti si gestiscono, non li si massacra.

“Ogni fine settimana riceviamo insulti razzisti. Adesso basta, così non si può giocare!”. È questo che ha denunciato il Casablanca, squadra composta interamente da giocatori di origini marocchine che partecipa al campionato di calcio a 11 Uisp di Forlì-Cesena, minacciando il ritiro dal campionato.

CASABLANCA1

 

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Quando si tratta di discriminazione c’è sempre il rischio di passare per censore. E’ un rischio che però è bene correre, proprio perché le parole hanno un peso particolare. Oggetto del contendere è un coro fatto dai tifosi della Juventus nell’ultimo incontro contro l’Inter, che ha come protagonista il presidente nerazzurro, l’indonesiano Thoir. La canzoncina fa così: “Thohir, Thohir, Thohir, Thohir ti hanno visto a piazza Duomo che vendevi souvenir”.

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di Pasquale Coccia - Alias - Il Manifesto 11/01/14

Sport. Mauro Valeri dell'Osservatorio sul razzismo parla delle misure intraprese per eliminare il problema dell’intolleranza. Gli esempi degli altri paesi europei

Negli ultimi mesi del 2013 nume­rose curve squa­dre di serie A sono state chiuse, per l’uso da parte degli ultrà di frasi raz­zi­ste o discri­mi­nanti sul piano ter­ri­to­riale rivolti a tifosi o gio­ca­tori di una deter­mi­nata area geo­gra­fica. A cam­pio­nato appena ripreso, abbiamo chie­sto a Mauro Valeri, che dirige l’Osservatorio sul raz­zi­smo e l’antirazzismo nel cal­cio (Orac), se que­ste misure hanno sor­tito qual­che effetto, se c’è spa­zio per una cul­tura anti­raz­zi­sta negli stadi o la par­tita è persa, e che cosa suc­cede negli stadi euro­pei dove gio­cano squa­dre di grande pre­sti­gio. Mauro Valeri, che inse­gna Socio­lo­gia delle rela­zioni etni­che all’Università La Sapienza di Roma, ha pub­bli­cato Black ita­lians. Atleti neri in maglia azzurra (Edup,2005), Che razza di tifo. Dieci anni di raz­zi­smo nel cal­cio ita­liano, (Don­zelli 2010), Stare ai gio­chi. Olim­piadi tra discri­mi­na­zioni e inclu­sioni (Odra­dek 2012).

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