Eusebio

Di Ivan Grozny

Quando Eusebio si presentò al provino per la squadra satellite del Benfica, il Desportivo, in Mozambico, non gli fu permesso neppure di provare perché privo di alcun tipo di attrezzatura.

Con quelli dello Sporting invece non ci fu problema tanto che lo presero senza esitare. La stagione a seguire lo incorona campione con i suoi compagni, e capocannoniere del campionato. A quel punto Eusebio comincia ad attirare su di se le attenzioni di molti. Il Sao Paulo che si trova nel Paese africano per una tournè cerca di tesserarlo e portarlo in Brasile, ma cavilli burocratici e questioni legate ai soldi ne impediscono il passaggio. Conteso da diversi club lusitani, ci sono anche club italiani che all’ultimo cercano di inserirsi nella trattativa, di questo giovane nell’ambiente se ne parla parecchio. La madre di Eusebio è molto appassionata dei colori del Benfica, e la leggenda in qualche modo racconta quanto questo particolare non fu irrilevante per la scelta del giovane Eusebio.

 

Eusebio Da Silva Ferreira, Eusebio, non ha avuto un’infanzia molto facile. Racconta Galeano: “Nacque destinato a lustrare scarpe, vendere noccioline o borseggiare gente distratta. Da bambino lo chiamavano Ninguém (niente, nessuno). Figlio di madre vedova che metterà al mondo otto figli, giocava a pallone coi suoi molti fratelli negli spiazzi di periferia, dalla mattina alla sera”.

Cresciuto nel mito di Pelè e di calciatori come Didì e Garrincha, giunge in Portogallo senza che la querelle tra Sporting e Benfica su chi avesse diritto a tesserarlo sia terminata.  Vive qualche mese nascosto in un villaggio dell’Algarve fino a quando la polemica tra le due grandi società di Lisbona non si placa, e a quel punto però comincia la sua leggenda. Sono gli anni Sessanta, l’epoca del Santos di Pelè e di Eusebio appunto. Ci sono solo due anni di differenza tra i due.

Il calcio dopo decenni di esclusione finalmente non solo si accorge dei giocatori neri e meticci, ma addirittura questi diventano le icone del fùtbol di quell’epoca.

Capocannoniere con nove goals ai Mondiali del ’66 in Inghilterra, dove il Portogallo è la squadra rivelazione, si aggiudica la scarpa d’oro per ben due volte (1968 e 1973), il Pallone d’Oro nel 1965, undici titoli del Portogallo e la Coppa dei Campioni nel 1962.

Dopo una lunga malattia muore oggi non solo un’icona del calcio mondiale, ma uno dei simboli dell’emancipazione dei calciatori neri dallo strapotere che i bianchi hanno sempre rappresentato fino ad allora. Insieme a Pelè, Garrincha e altri rappresenta la rivincita di coloro che, per il solo colore della pelle, fino a qualche anno prima non avrebbero mai potuto sfondare nel calcio che conta. Ma il talento, la voglia di arrivare e un mondo che finalmente cominciava a cambiare non ci hanno privato di uno dei più grandi campioni di tutti i tempi.

Adeus Eusebio.