Il brasiliano Juan

di Mauro Valeri

Gli insulti razzisti subiti dal romanista Juan da parte della tifoseria laziale, non è che il trentunesimo episodio di razzismo che si è verificato in questa stagione calcistica. Se ha fatto notizia è perché il calciatore brasiliano ha avuto il coraggio di rispondere “alla Balotelli”: con il dito sul naso a zittire i razzisti. La Lazio è stata multata, per responsabilità oggettiva, con 20.000 euro, comprensivi però anche dell’ammenda per il lancio nel recinto di gioco di due petardi. Inoltre, come sempre, il giudice sportivo ha riconosciuto l’attenuante alla Società per aver concretamente operato con le forze dell’ordine a fini preventivi e di vigilanza. Insomma, nonostante le minacce dello speaker che aveva dovuto ricordare ai tifosi i rischi di simili comportamenti, e nonostante i richiami dell’arbitro Bergonzi ai capitani delle squadre, il totale della multa appare ben poca cosa.

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Fabio Capello

E’ probabile che i motivi che hanno spinto Fabio Capello a lasciare, dopo quattro anni, la panchina della Nazionale inglese vadano ben oltre il caso Terry, e che invece rimandino agli scarsi risultati ottenuti a e al non bel gioco fatto vedere in Inghilterra. Prima di essere cacciato, ha preferito andarsene lui. Ma sarebbe altrettanto sciocco pensare che l’aver scelto proprio il caso Terry per uscire di scena sia casuale. Ricordiamo brevemente i fatti.

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Aderendo anche quest'anno alla settimana europea indetta dalla F.A.R.E. contro le discriminazioni nel calcio, sabato 26 e domenica 27 ottobre la Polisportiva antirazzista Assata Shakur ha organizzato due momenti di visibilità per la suddetta campagna, lanciata  all'insegna dell'antirazzismo e dell'accoglienza, valori promossi dalle azioni delle F.A.R.E. e che contraddistinguono le attività della nostra polisportiva.

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Nella settimana d’Azione FARE la Polisportiva Assata Shakur ha organizzato due momenti di visibilità a questa importante campagna europea contro il razzismo nello sport. Come ricorda la stessa, l’Azione vale più delle parole…

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Nella settimana d’Azione FARE la Polisportiva Assata Shakur ha organizzato due momenti di visibilità a questa importante campagna europea contro il razzismo nello sport.

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L'iniziativa #occupycorsocarloalberto "Gioco anch'io" organizzata all’insegna dell’incontro, della socializzazione e del confronto per dare la possibilità a tutti di stare insieme rompendo i muri del pregiudizio e dell’intolleranza, si è svolta domenica 28 ottobre per le strade nella zona del Piano di Ancona.

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ANCONA- DOMENICA 28 OTTOBRE

#OCCUPY  CORSO CARLO ALBERTO

GIOCO ANCH’IO!

Giornata per l’inclusione sociale attraverso lo sport!

 

Abbiamo voluto organizzare una giornata all’insegna dell’incontro, della socializzazione e del confronto per dare la possibilità a tutti di stare insieme rompendo i muri del pregiudizio e dell’intolleranza. Non a caso abbiamo scelto di bloccare al traffico   Corso Carlo Alberto  e di installare svariate attività ludico-ricreative per bambini e adulti.

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La Polisportiva Independiente ha costruito una serie di iniziative durante l'Action Week promossa dalla rete Fare. La battaglia contro le discriminazioni razziali nello sport quest'anno si lega per noi con la lotta dei rifugiati fuggiti dalla guerra in Libia dell'anno scorso per ottenere il permesso di soggiorno e il riconoscimento del diritto all'accoglienza.

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Venerdi 4 e sabato 5 Maggio, a Roma, ospitati negli sfarzosi spazi della Presidenza del Consiglio dei Ministri, si è svolta la Conferenza 2012 della rete F.A.R.E (football against raacism in Europe).

 

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La crisi sistemica del calcio italiano da tutti i punti di vista - di risultati, economica, culturale, progettuale, morale – oramai è un dato di fatto riconosciuto da tutto il mondo sportivo. I recenti e ciclici scandali sul calcio scommesse, le dichiarazioni di Belloli sul calcio femminile, la lenta agonia della Lega Pro con la sparizione di numerosi club e la riscrizione postuma dei verdetti sul campo da parte della giustizia sportiva sono solo le ultime manifestazioni di questa malattia.

E' invece sulle strategie di guarigione che il dibattito si apre. I vertici della Federcalcio promettono retoricamente inasprimento delle pene e maggiori controlli, mentre alcuni editoriali dei quotidiani sportivi cominciano a parlare della necessità di rinnovare una classe dirigente del pallone ormai inadeguata. Ci sono poi pezzi importanti del mondo del calcio che cominciano a prendere posizioni contro lo strapotere dei diritti televisivi, sostengono il bisogno di tornare ad investire sui vivai e soprattutto invocano un necessario cambiamento culturale all'interno del calcio. Stiamo parlando ad esempio di Damiano Tommasi e Renzo Ulivieri, che a un recente dibattito all'interno dei Mondiali Antirazzisti hanno fatto importanti dichiarazioni in tal senso.

Sicuramente bisogna partire da un netto cambiamento culturale, rimettendo al centro i valori fondanti di questo sport, rispetto alle esigenze televisive. Affermare questo non significa l'ennesimo grido contro il “calcio moderno” in difesa nostalgica del calcio di una volta (che tanto pulito non era nemmeno allora, tra doping, partite truccate e giochi di potere), ma significa guardare al futuro di questo sport.

Fino a quando le società calcistiche saranno delle “società per azioni” che come obiettivo hanno quello del profitto per statuto socetario (ricordiamo tutti le immagini della compagna pubblicitaria dell’ingresso in borsa della S.S. Lazio nel 1998, con i calciatori della squadra romana vestiti da azionisti inglesi d’antan) non usciremo mai veramente da questa crisi. Cambiare la struttura giuridica-legale verso una forma più “associazionistica” o “cooperativa sportiva” deve essere il primo passo del cambiamento culturale di questo sport.

Il modello tedesco delle “Eingetragener Verein” (in italiano “associazioni registrate”) e del “50+1” può essere un punto da cui per partire. In Germania i club sono storicamente nati come associazioni, dove tutti i soci partecipano alla vita del club ed eleggono i rappresentanti del consiglio d'amministrazione. Alla fine degli anni '90 la Federcalcio tedesca ha permesso di dare una struttura più commerciale attraverso la creazione di una società a responsabilità limitata per la sezione professionistica, a patto però che il 51% delle quote sia in mano ad associazioni di soci del club. In questo modo i supporters mantengono una funzione di controllo e di contributo attivo sulle scelte della squadra.

Questo modello è possibile perchè in Germania è radicata una cultura sportiva dell'associazionismo e quindi i tifosi non si sono mai sentiti come clienti, ma come parte attiva e decisiva. E' proprio per questo motivo per cui il cambiamento culturale tanto invocato nel calcio italiano non può riguardare solo i dirigenti, i calciatori, gli allenatori, ma deve coinvolgere prima di tutto i tifosi e le tifose, compreso il mondo ultras.

Quante volte si sono visti striscioni o adesivi “tifosi di questa maglia e non della società”? In Italia siamo abituati a separare la maglia e la società calcistica, come se fossero entità differenti. Siamo cresciuti con il mito dei presidenti-tifosi innamorati all'Anconetani o alla Rozzi. Si venera il presidente “quando ci porta in Europa”, si vuole un presidente “coi soldi”, oppure lo si contesta, a torto o a ragione, quando utilizza la squadra a fini di arricchimento personale. Non è più sufficiente gridare “vattene” al criminale o all'incompetente di turno, in attesa di un proprietario migliore.

Questa posizione ripete meccanismi di delega, di passività o, nei migliori casi, di indipendenza dalla società, ma sempre una relazione di esternalità. Un altro aspetto stucchevole di questa dimensione è anche quello del sempre maggiore riferimento nel linguaggio sportivo, che sia quello mediatico come quello del semplice tifoso da bar sport, alla situazione societaria delle squadre di calcio, quasi come se si dovesse fare il tifo per un presidente ed una società forte in maniera equivalente al tifo che si ha per i propri beniamini in campo, interessandosi ardentemente, da semplici spettatori, dei conti in banca dei presidenti di turno.

Quindi, quando un club è in vendita, non si può dibattere su quale sia la cordata migliore, facendo il tifo per quella più affidabile economicamente. Bisogna cominciare a considerare il club come un patrimonio collettivo, un bene comune che rappresenta una comunità. Fino a quando tutto il mondo dei tifosi, da quello davanti alla televisione all'ultras, non si metterà in discussione e non si assumerà un ruolo attivo e protagonista all'interno del club, il calcio italiano sarà sempre più schiavo dei diritti televisivi e i nostri club rischieranno prima o poi di scomparire sommersi dai debiti. Non solo il Parma, ma i numerosi fallimenti in Lega Pro ne sono l'esemplificazione.

Con l’appropriazione del club da parte dei tifosi, non si vuole certo intendere di aspirare a diventare dei nuovi manager, imprenditori, né a coltivare un senso proprietario, ma di trasformare e puntare sui valori propri del mondo delle tifoserie, e non solo quelle, come la cura per il bene comune e la collettività.

Anche in Italia da qualche anno si è cominciato a parlare di azionariato popolare come alternativa al calcio-business. In alcune città sono nate delle cooperative o delle associazioni di tifosi, che in alcuni casi sono riusciti ad acquisire delle quote del proprio club. Ci sono squadre nelle categorie dilettantistiche interamente gestite dai tifosi e per la prima volta le quote di un club di Lega Pro, l'Ancona, sono state cedute all'associazione locale di azionariato popolare (Sosteniamolancona).

Sono tutte esperienze importanti e da seguire, ma per salvare questo calcio c'è bisogno di una maggiore presa di consapevolezza dei tifosi, perchè se è vero che “football without fans is nothing”, è anche vero il contrario “Fans without football are nothing”.

 

Oggi sono due anni dalla morte di Carlo Petrini. Ex calciatore di Genoa, Milan, Torino, Roma e Bologna è stato coinvolto nel primo vero scandalo delle scommesse, insieme ad altri più o meno famosi di lui, negli anni ottanta. La maggior parte di loro, quelli che il sistema calcio decise di sacrificare, chiusero col calcio. La gustizia sportiva ci andava certo più pesante allora, ma sempre con quell'occhio di riguardo per chi conta di più.

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Se c'è una cosa che mai bisogna fare, è commentare ciò che non si è visto. E io, trovandomi lontano dall'Italia, non ho potuto seguire la trasmissione di domenica di Iacona, Presa Diretta. L'argomento il calcio malato, le scommesse, la corruzione.

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