Venticinque coltellate d'odio. Al petto, alle gambe, in viso. Di coming out, in Sudafrica, si muore. L'omicidio della calciatrice omosessuale Eudy Simelane, è accaduto il 28 aprile del 2008 ma non se n'è parlato mai abbastanza nonostante sia stato il primo caso che ha ricevuto risonanza internazionale, come delitto omofobico nello sport. 

 

Dietro la Nazione che sventola una bandiera arcobaleno, ci sono le pagine nere degli stupri “correttivi” e delle morti violente verso coloro che vivono apertamente la loro omosessualità e decidono di renderla pubblica. Il fenomeno riguarda soprattutto le donne. Eudy è stata trovata morta sulle rive del fiume Kwa Thema, alla periferia di Johannesburg, dopo essere stata brutalmente violentata. Le uniche colpe della giocatrice dello Spring Home Sweepers sono state quelle di aver dichiarato di essere lesbica e di essere un'attivista dei diritti gay e lesbo in un Sudafrica capace ancora di discriminare in modo molto feroce. Sì, perchè l'omofobia che uccide è un fenomeno ordinario nel Paese africano. Simelane, amata e popolare, ne era cosciente ma di vivere nascondendosi non ne voleva sapere. Più volte aveva reso note le minacce di morte, le violenze: grida di aiuto passate sotto silenzio. A Johannesburg come a Città Del Capo, le lesbiche vengono sistematicamente prese di mira e minacciate di stupro “correttivo”, soluzione finale per guarire da un orientamento sessuale, considerato una grave anomalia. 

Vanessa Ludwig, amministratore delegato di "Triangle project", un'organizzazione sudafricana che difende i diritti degli omosessuali, ha rivelato che l'86% delle donne lesbiche nella provincia di Western Cape, ove si trova Città del Capo, teme di subire un'aggressione. La stessa associazione fa inoltre sapere di ricevere ogni settimana la richiesta di aiuto da almeno dieci donne, per i casi  stupro correttivo. Crimine che rimane per lo più impunito, non riconosciuto dallo stato sudafricano. L'assassinio di Simelane però, ha invertito per la prima volta la tendenza, con la condanna del colpevole. Tutto ciò non basta a lenire la paura e la testimonianza del terrore arriva anche da Soweto, dalle parole di una ragazza come tante, calciatrice, di nome Phumla che si è confessata ad “Action Aid”: “Se sei una lesbica, i ragazzi ti vedono come una minaccia, qualcosa che dovrebbe essere cancellato dalla faccia della Terra. Riceviamo ogni giorno insulti, percosse quando camminiamo da sole. Ci ricordano che meritiamo di essere violentate. (…) Credo che lo stupro correttivo sia la peggiore violenza che possa essere inflitta ad una persona. E' successo quando con due amiche lesbiche stavamo tornando a casa da un allenamento, assieme a due ragazzi che conoscevamo. Invece di portarci a casa ci hanno allontanato fuori città e una volta fermata la macchina abbiamo cercato di scappare ma uno di loro è stato più veloce di me. Mi ha afferrato e trascinato in una casa dove c'era un altro ragazzo che lo aspettava. Per tutto il tempo mi hanno detto che avevo bisogno di una lezione, che non ero un uomo ma una ragazza e che dovevo iniziare a comportarmi come tale”. 

“Mi sentivo debole e stupida – racconta ancora Phumla -  Quindi non ho denunciato l'accaduto alla Polizia. (…) Credo che la violenza stia peggiorando e le persone pensano di poter farla franca perché non interessiamo a nessuno".