Intervista a Christian Picucci, presidente dell’ASD Birilli

di Mattia Gallo

 

Quando e come nasce l’ASD Birilli? Perché si è scelto questo nome? Quali persone hanno dato vita a questa avventura, ed in quale contesto è maturata? Chi sono i componenti della squadra di calcio?

L’ASD Birilli nasce nel marzo del 2013, costituendo il sugello di un lavoro più ampio, portato avanti negli anni con passione e determinazione da un manipolo di operatori sociali, volontari, attivisti. Il minimo comun denominatore di questa esperienza è costituito dal lavoro nelle periferie, dal contrasto all’esclusione sociale, dal supporto all’infanzia disagiata, dalla promozione dello sport popolare. L’ASD Birilli non è altro che l’articolazione in ambito sportivo dell’associazione di promozione sociale Popica onlus, attiva dal 2006 in Romania e Italia; “popica” in romeno significa proprio “birillo”, soprannome di uno dei ragazzini di strada nella periferia di una città romena. Della squadra di calcio fanno parte bambini e adolescenti provenienti dai campi rom di Roma, dai centri di accoglienza, dalle occupazioni di edifici abbandonati.

 

Quali sono le competizioni sportive a cui ha partecipato e quelle a cui prenderà parte l’ASD Birilli? Quali sono stati i risultati sportivi? A parte questi, qual è stato il valore della vostra partecipazione nelle varie competizioni?

L’ASD Birilli partecipa ogni anno ad un campionato cittadino, confrontandosi con altre società sportive della capitale. La specificità della nostra esperienza consiste proprio nel rompere pregiudizi e barriere culturali, nel favorire attraverso lo sport la comunicazione e la conoscenza reciproca, introducendo i figli degli esclusi e degli ultimi nelle competizioni della metropoli. Accanto a ciò, la nostra associazione non ha mai smesso di fare rete con altre realtà di sport sociale, partecipando ad esempio al Mediterraneo antirazzista, manifestazione che si tiene ogni anno allo Zen di Palermo e che si dipana poi in varie altre tappe intermedie (Scampia a Napoli, Tor Sapienza a Roma, ecc.). Da un punto di vista prettamente tecnico e calcistico, c’è da registrare in particolare il 2° posto ottenuto dai Birilli lo scorso anno, nel campionato Acli 2013/2014.

 

 

Pensate che lo sport sia un modo opportuno e concreto per raggiungere obiettivi come l’integrazione, la solidarietà, l’antirazzismo?

Sono i fatti a parlare. In questi anni tanti genitori di squadre che abbiamo incontrato si sono interessati alla nostra esperienza, ci hanno manifestato la propria solidarietà, ci hanno regalato materiale sportivo; parliamo di contesti “normali”, depoliticizzati, potenzialmente soggetti anche all’influsso dei politicanti demagoghi e di certo giornalismo qualunquista e sensazionalista. In campo poi i bambini non guardano al colore della pelle o alla lingua che parlano gli avversari, ma solo alla palla e al divertimento!

 

Quali sono i maggiori problemi che avete incontrato nel vostro percorso e quelli che state incontrando tutt’ora nella vostra vita di organizzazione impegnata nel sociale?

Siamo una realtà giovane e piccola, basata quasi esclusivamente sul volontariato. Ognuno di noi, per poter sbarcare il lunario, deve fare altri lavori. Spesso è difficile mettere insieme tutti i pezzi e a lungo andare la stanchezza potrebbe pregiudicare la continuità e la crescita del progetto. Un po’ per scelta, un po’ per oggettiva incapacità economica delle famiglie, non chiediamo quote associative ai bambini che si iscrivono; di fatto non abbiamo la possibilità di affittare un impianto sportivo, né di garantire allenamenti costanti settimanali. La rete e la collaborazione con altre realtà sociali ci consente di andare avanti: il campo Auro Bruni del centro sociale Corto circuito ad esempio è lo “stadio” dei Birilli; Silvia, attivista del Corto, ne è l’allenatrice, nonché componente dell’ASD Birilli. Ci stiamo dando degli obiettivi, vorremmo accedere a finanziamenti, evitare che si possa disperdere un importante patrimonio di bagaglio sociale.