C’è uno sport che chi è abituato a considerare le strade e le piazze come specchio della situazione sociale ed economica del paese non dovrebbe mai sottovalutare. E’ lo sport che fino agli anni ’60 è stato il più popolare in Italia (sì, anche più del calcio), quello povero per antonomasia, quello della fatica: il ciclismo.

Se negli altri sport la strada è un terreno che si conquista “uscendo” dall’evento sportivo in sé, nel ciclismo è elemento centrale e materiale, punto di incontro tra atleti e tifosi, curva e campo di gioco. Quanto avviene in città viene portato all’interno dello stadio; nel ciclismo la realtà, invece, è lì che ti aspetta: in strada.

Proprio per queste ragioni l’evento sportivo che a mio parere ha da sempre rappresentato ed attraversato al meglio, non solo a livello metaforico, gli umori del paese è il Giro d’Italia. Percorre le strade dei paesi bomboniera della Toscana come quelle delle brutture architettoniche sparse nelle periferie degradate di mezza Italia, i prati da cartolina del Trentino come le ciminiere fumanti dell’Ilva di Taranto. E benché i media mainstream ed in primis la televisione, cerchino di oscurare “il paese reale”, quello è lì sul percorso, e il ciclismo te lo sbatte in faccia. Da questo punto di vista, proprio l’edizione 2014 del Giro d’Italia è piuttosto emblematica, e meglio di qualsiasi altro evento dà un quadro della situazione attuale. Che fosse un evento dove alcune contraddizioni e situazioni conflittuali sarebbero potute emergere si poteva forse intuire già dalla carica simbolica delle due città di partenza ed arrivo di questa edizione: Belfast e Trieste. Ma andiamo con ordine.

Benché il ciclismo sia considerato storicamente uno sport povero, il Giro d’Italia è a tutti gli effetti un grande evento sia in termini di pubblico che in termini prettamente economici. Un dato su tutti rende l’idea: l’impatto economico che ogni edizione genera nelle città toccate dalle tappe è pari a 120 milioni di euro (dati RCS 2012). Come ogni grande evento sportivo moderno che si rispetti (Mondiale in Brasile docet) lo spettacolo e l’appeal nei confronti degli sponsor in cerca di visibilità hanno precedenza su tutto, anche sui ciclisti stessi. Ecco quindi le polemiche per le cadute a ripetizione, frutto anche di strade e asfalto non all’altezza della situazione, e la proteste degli atleti che nella tappa di Bari si sono rifiutati di disputare l’ultimo giro del circuito finale per ragioni di sicurezza. Sempre per lo spettacolo anche quest’anno il Giro si appresta ad affrontare un percorso tra i più duri della sua storia, con buona pace di chi chiede tappe più “umane” anche come forma di lotta contro il doping.

A proposito di doping, non poteva certo mancare questo tassello nella nostra ricostruzione di un paese malato in cui il populismo del “tutti a casa” colpisce anche chi pedala.

Succede che Diego Ulissi, una delle poche promesse del ciclismo nostrano, vinca due tappe con arrivo in salita. A quel punto avrebbe un’ulteriore occasione di incrementare il bottino, perché la frazione seguente ancora una volta è adatta alle sue caratteristiche. Ma Ulissi non ci prova nemmeno, sembra stanco, spaesato, e i più si chiedono il perché di questa prestazione così opaca. Si scopre poi che l’atleta è stato svegliato nella sua camera d’albergo da un controllo antidoping a sorpresa alle 6:30 di mattina. Sappiamo che il mondo del ciclismo ha una pessima reputazione e sappiamo che purtroppo è spesso meritata, ma in quale sport può avvenire una cosa del genere? Vi immaginate un calciatore di serie A svegliato all’alba da un controllo antidoping una domenica mattina prima della giornata di campionato?! Finché tutto lo sport, non solo il ciclismo, non deciderà di affrontare questo problema in maniera chiara e senza ipocrisie, si rischierà sempre di rovinare prestazioni sportive e di portare avanti un’assurda caccia all’untore.

Tornando alla strada. In questi primi giorni il Giro ha incontrato in più occasioni le proteste e le preoccupazioni degli operai: i lavoratori della Jp Industries a Foligno hanno tenuto un presidio ricordando la loro situazione drammatica che si protrae da mesi; a Taranto il Comitato dei “Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti” era in piazza con uno striscione che recitava: “Taranto: la città presa in giro!”, gli operai di “Taranto Isolaverde”, società che ha annunciato 134 licenziamenti, ha mostrato lo striscione "I dipendenti pagano il conto della cattiva politica”. Molto probabilmente nessuno degli operai presenti in piazza immagina quanto la sua situazione possa essere equiparabile a quella dei ciclisti professionisti. Un ciclista, solitamente, non percepisce nessuno stipendio fino a circa 20 anni di età. Inoltre lo stipendio minimo di un ciclista professionista è “da fame”, se paragonato a quello di altri sport anche meno popolari: 36.300 euro l’anno per i professionisti, 29.370 per i neo prò delle squadre World Tour, 30.250 e 25.300 per le squadre Professional. Senza contare il fatto che i contratti fanno ricadere, praticamente per intero, la responsabilità di eventuali casi di doping sul lavoratore che può essere licenziato dalla squadra senza alcun preavviso. La riforma che l’UCI sta rinviando di anno in anno e che al momento dovrebbe entrare in vigore nel 2020 rischia di mandare a spasso centinaia di corridori.

Tralasciando il tentato sabotaggio a base di puntine da disegno in quel di Pennabilli, nonché una frana (poteva mancare nella nostra ricostruzione dell’Italia che pedala una dose di dissesto idrogeologico?) nella tappa di Montecassino che ha costretto gli organizzatori ad allungare il percorso di 10 km, arriviamo ad un altro caso, il peggiore, di quest’inizio di corsa rosa edizione 2014. La tappa del 16 maggio che parte da Frosinone passa per Affile, il paese tristemente saltato agli onori delle cronache perché il comune due anni fa vi ha inaugurato un mausoleo a Rodolfo Graziani (fatto ampiamente analizzato dal collettivo Wu Ming sul suo blog). Graziani, nativo proprio di Affile, è un criminale di guerra tra i più spietati del fascismo, e un’associazione che porta il suo nome e che lo definisce “Eroe della grande guerra” ha accolto il passaggio della carovana rosa con manifesti e striscioni inneggianti al generale fascista. Nel materiale affisso dai “fan del macellaio d’Italia” si ringraziano gli organizzatori del Giro per aver onorato la memoria di Graziani passando per la sua città natale. Alla gravità del fatto in sé, anch’esso sintomo di una malattia mai estirpata dal nostro paese, si aggiunge la mancata smentita da parte di RCS Sport che non ha risposto a cotanti ringraziamenti neanche dopo la sollecitazione dell’ANPI di Roma e di tante e tanti antifascisti. Anche in questo caso lo spirito dei nostri giorni viene rappresentato alla perfezione, come se schierarsi contro un criminale fascista fosse una presa di posizione troppo forte e non semplicemente un gesto di civiltà.

“Il ciclismo è lo sport più popolare perché non si paga il biglietto”. Da quando Pasolini pronunciò queste parole sono passati decenni, il ciclismo non è più lo sport più popolare ma continua forse suo malgrado a rappresentare il paese. Nonostante il Giro d’Italia sia diventato a tutti gli effetti una grande opera, pardon, un grande evento (da notare la scritta EXPO 2015 sotto allo striscione di arrivo di ogni tappa), più attento agli introiti economici che al resto, il suo fascino rimane fortemente popolare. Forse con il Giro è un po’ come se, una volta l’anno, Totti venisse a fare una partitella sotto il tuo terrazzo, e tu stai lì e te la guardi, gratis.

Per evitare che speculazioni e show business rovinino definitivamente un pezzo di cultura sportiva che ci appartiene e che, forse più di altri, è in grado di raccontare e di raccontarci cosa sta succedendo, la prossima volta che parliamo di strada e sport ricordiamoci di parlare anche di ciclismo e del fatto che anche quelle strade vanno presidiate come le altre. Quindi smettiamola di immaginarci strade e curve come le vorremmo ma lavoriamo affinché diventino come dovrebbero essere.