Mentre Roberto Mancini riapre un anacronistico dibattito sulla presenza o meno degli oriundi nella Nazionale italiana di calcio, arriva la notizia dell'inizio dell'iter di approvazione di una proposta di legge sulla cittadinanza sportiva per i figli dei migranti nati in Italia o arrivati nel nostro paese entro i 10 anni d'età. Si tratta di un provvedimento presentato da alcuni parlamentari nel gennaio 2014 e che, dopo la relazione favorevole della relativa commissione in dicembre, ha ricevuto la “benedizione” da parte del Governo attraverso un tweet del sottosegretario Del Rio.

Il contenuto di questa proposta prevede che per i figli dei migranti nati in Italia o arrivati in Italia entro i 10 anni, “possono essere tesserati a società sportive appartenenti a federazioni nazionali o alle discipline associate o presso enti o associazioni di promozione sportiva con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani”. E' una svolta storica.

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E' ormai da troppo tempo che nel nostro paese si discute sulla cittadinanza da conferire ai bambini nati da genitori stranieri su suolo italiano. Il dibattito aperto è  sul cosiddetto "ius sanguinis" (diritto di cittadinanza per sangue) e "ius soli" (diritto di cittadinanza in base al Paese di nascita). Un discorso ampio e molto delicato, affrontato con modalità diverse dai diversi Paesi del mondo. Storicamente, mentre nel Regno Unito e in Irlanda era originariamente applicato lo ius soli, il resto dell’Europa viene tra una tradizione di ius sanguinis, per motivi legati sia alla tradizione giuridica del diritto civile che all’esperienza prevalente di emigrazione. Dagli anni Settanta, si sta assistendo però a una generale revisione delle norme, con la sempre più diffusa applicazione di regimi misti che accostano allo ius sanguinis elementi di ius soli.

In italia invece come funziona? 

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