Briganti1

di Davide Drago

In questi giorni il quartiere di Librino è tornato agli onori della cronaca per un atto vile nei confronti della squadra di Rugby dei Briganti.

Librino è un quartiere periferico a sud ovest di Catania, progettato intorno alla metà degli anni sessanta da Kenzo Tange. Una città nella città, dato che oggi conta quasi 80.000 abitanti. Nei progetti dell'architetto giapponese il quartiere doveva essere una sorta di new town, con aree verdi per ogni unità immobiliare, parchi e servizi. La vicinanza all'aeroporto e la diffusione, a ridosso della zona di Librino, di case abusive nei quartieri di Fossa Creta e San Giorgio fecero cambiare rotta al progetto: non si pensò più ad un insediamento abitativo di pregio, ma il quartiere si riempì di case popolari e cooperative edilizie.

Alla mancanza di servizi e all'assoluta assenza delle istituzioni il quartiere è diventato sempre più simbolo del degrado e della criminalità. Quello che ha distinto di più il quartiere è stato lo spaccio, infatti Librino può essere definita un'enorme piazza di spaccio, in cui le forze dell'ordine faticano ad entrare. Al degrado e all'assenza della legalità si sono opposte associazioni impegnate soprattutto coi giovani. Fra queste, il centro sociale intitolato a Iqbal Masih, un ragazzo pakistano assassinato dalla mafia dei tappeti perché lottava per i diritti dei bambini-lavoratori, occupato nel 1995 e dedito ad attività extra scolastiche, con laboratori teatrali e musicali. Il Centro Iqbal Masih nel corso di questi anni ha rappresentato un punto di riferimento per ottenere notizie sulle dinamiche del disagio giovanile e del lavoro minorile. È noto inoltre come luogo di raccolta di informazioni utili ad elaborare filtri ed indagini sullo stato del lavoro minorile in città operate dalle organizzazioni sindacali che si trovano nel territorio.

Un giorno durante le attività extra scolastiche del centro spuntò fuori un pallone dalla forma strana. Una forma che quei ragazzi abituati a giocare a calcio per le strade non avevano mai visto. La prima squadra fondata fu quella degli under 12, successivamente per finanziare la parte giovanile che cresceva sempre più fu fondata la squadra Seniores. Fu cosi che nel 2006 nacquero i Briganti di Librino. La società fu però costretta a lasciare il campo da calcetto che utilizzava negli anni precedenti e iniziò il periodo di vagabondaggio nei vari campi della città. Svolgere gli allenamenti lontano dal proprio quartiere non era un'attività facile e veniva a mancare quel contatto con la realtà che ha da sempre caratterizzato il lavoro dei Briganti. Per questo il 25 aprile del 2012, dopo anni di richieste e promesse di ogni tipo si decise di occupare il Campo San Teodoro: una struttura che può essere considerata una cattedrale nel deserto, costruita per le Universiadi del 2007, e mai utilizzata. Dopo anni di abbandono e vandalizzazione la struttura è stata recuperata ed è diventata nel corso degli anni la casa dei Briganti: spogliatoi, club house, bar, la libreria popolare chiamata “La Librineria”, gli orti sociali. Un vero e proprio luogo da vivere quotidianamente per fare sport e aggregazione. L'attività dei Briganti è riuscita nel corso di questi anni a togliere dalla strada centinaia di ragazzi, giovani che sarebbero diventati facilmente manovalanza per le attività criminali, per lo spaccio di droga, per il traffico delle armi. I Briganti sono riusciti in questi anni ad educare i ragazzi al rispetto dell'altro, da chi sta loro accanto a chi ha un colore diverso dal proprio. “Ama l'ovale, odia il razzismo, tutto muscoli e tutto cervello, mischia fino alla vittoria” è il motto che i ragazzini urlano prima e dopo ogni partita. Il rugby è diventato per quel quartiere uno strumento di educazione, responsabilità e solidarietà.

I briganti sono diventati per quel quartiere una favola. Rappresentantano la possibilità per i ragazzi di conoscere persone nuove, di andare a visitare per la prima volta nuove città anche fuori dalla Sicilia, e per qualcuno anche il sogno di essere convocato dalla squadra federale.

Qualcuno però ha pensato qualche giorno fa di arrogarsi il diritto di “spegnere” questo sogno. Hanno utilizzato le fiamme, hanno agito di notte, si sono nascosti, non hanno neanche avuto il coraggio di rivendicare ciò che hanno fatto. La matrice dell'incendio al momento non è chiara. I Briganti hanno da sempre svolto attività nel quartiere e la criminalità al di là di qualche furto non si era mai spinta. Queste persone non hanno fatto però i conti della forza esplosiva che queste fiamme hanno sprigionato! Infatti, dopo il primo e comprensibile momento di smarrimento, gli attestati di solidarietà arrivati da tutta Italia e la grande risposta della città intera, hanno fatto subito rialzare da questo placcaggio infame tutta la famiglia dei Briganti.

All'assemblea pubblica di domenica mattina erano presenti centinaia di persone. Assemblea che si è subito trasformata in concretezza. Armati di mascherine, pale e carriole si è subito iniziato a lavorare per liberare una struttura che non era mai stata utilizzata. Nell'attesa della ricostruzione della vecchia club house, si rimetterà a posto questo nuovo spazio. È nella club house “Giuseppe Cunsolo”, ragazzo morto in un incidente dai contorni misteriosi, che però i Briganti vogliono tornare! L'amministrazione comunale ha assicurato che si prenderà carico dei lavori di ristrutturazione, ma di promesse in quel quartiere ne sono state fatte tante e spesso mai concretizzate. L'ultima in ordine di tempo è quella del 2015, quando il sindaco di Catania fece approvare dalla giunta un progetto, mai finanziato dal Ministero, per la ristrutturazione del Campo San Teodoro. Nell'attesa di queste ulteriori promesse è partita una gara di solidarietà per raccogliere fondi da destinare ai lavori di ricostruzione della Club House, del bar e della Librineria.

Al grido di “Non un passo indietro”, la ricostruzione è già iniziata.

Adelante Briganti!

Chi vuol contribuire, a “ricostruire la club house dei briganti” può inviare un contributo alle seguenti coordinate C/C intestato a: A.S.D. I Briganti || Iban: IT 03T 03127 26201 000000190243 – BIC: BAECIT21263 – Unipol Banca.

 

 

 

di Polisportiva Independiente Vicenza

 

Prima “ha sbattuto la testa per terra”, poi “addosso a un cancello”. Le versioni della Questura di Vicenza lasciano veramente molti dubbi, ma purtroppo l'unica certezza in questo momento è che Luca Fanesi, tifoso quarantaquattrenne della Sambenedettese, è da due settimane in coma nel reparto di rianimazione dell'ospedale di Vicenza. Il referto medico parla di quattro fratture craniche troppo vaste e non compatibili con la versione fornita dalla Digos.

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E’ una storia semplice quella di Semere ed Abrham, una storia semplice e profonda. Ed è una storia che contribuisce in maniera chiara a sfatare una delle opinioni più diffuse nella nostra società, errata e pregiudiziale: il luogo comune secondo il quale i migranti che approdano nel nostro paese, dopo aver lasciato tutto ed aver rischiato la propria vita in mare, lo fanno con una unica intenzione, quella di adagiarsi per sempre nella bambagia dell’assistenzialismo italiano.

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C’è stato il tempo del calcio uruguagio, il tempo del calcio italiano, il momento del calcio brasiliano e quello del calcio spagnolo. C’è stato però un periodo storico in cui a dominare era la “scuola danubiana”. A cavallo tra i due conflitti bellici mondiali, infatti, il miglior calcio lo si poteva trovare sulle sponde del bel Danubio blu (citazione d’obbligo per uno dei più noti valzer di tutti i tempi). Austria, Cecoslovacchia e Ungheria: tre nazionali capaci di raggiungere grandissimi traguardi sportivi prima che le bombe prendessero il sopravvento. Una su tutte però primeggiava: il Wunderteam, la nazionale di calcio dell’Austria, guidata in panchina dalla sagacia tattica di Hugo Meisl e trascinata in campo dall’estro della sua stella più grande: Matthias Sindelar. Ed è proprio del campione austriaco che parla questa storia, una storia di onore, orgoglio e libertà morale, di chi ha saputo opporsi ad una persona e ad un’idea che in quel periodo storico non ammettevano risposte contrarie alla loro volontà.

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«Ormai nel calcio non esistono più le bandiere». Alzi la mano chi non abbia pensato o espresso questa frase dopo l’ultimo acquisto shock della Juventus: Gonzalo Higuain. “El Pipita”, ex giocatore simbolo del Napoli, è però solo l’ultimo di una folta schiera di calciatori che hanno abbandonato la propria squadra per arrivare ai successi (e tante volte anche allo stipendio) desiderati. Francesco Totti è la classica eccezione che conferma la regola. Ormai, in un calcio tramutato da sport a business, l’appartenenza alla maglia è divenuta sempre più un concetto sbiadito e dal cattivo gusto retrò.

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Il roller derby é uno sport di contatto su pattini a rotelle; quelli che, per capirci, abbiamo usato
l´ultima volta da piccoli, nel cortile di casa, sbucciandoci le ginocchia.

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Domenica 8 novembre si è giocato il derby Roma-Lazio. Per chi è tifoso di una di queste due squadre, è LA partita dell'anno, la più attesa. Per tutti gli altri appassionati di pallone è una delle sfide più interessanti per l'atmosfera che le due tifoserie sanno creare.

Domenica scorsa l'atmosfera è stata surreale, perchè le due curve sono rimaste vuote per protesta. Per capirne le ragioni, abbiamo intervistato l'avvocato Lorenzo Contucci, da anni impegnato a difendere il mondo ultras dalle leggi repressive emanate da vari governi.

Da dove nasce la protesta delle due curve romane?

La protesta è il risultato di un processo iniziato diverso tempo fa. L'incipit parte da Galliani, che in una riunione dei gruppi di sicurezz dell'Osservatorio, ha avanzato la proposta di dividere i settori delle curve per renderli più sicuri. Il progetto pilota è Roma. Dall'inizio del campionato in sostanza lungo la scalinata centrale della curva si crea un cordone di steward che lascia libero il passaggio, ma di fatto divide in due il settore. Dopo di che è stato installato un vetro divisorio. Nonostante la stragrande maggioranza degli incidenti avvenga fuori dallo stadio, il pretesto utilizzato dal prefetto Gabrielli è mantenere la “safety” dentro al settore, essendone responsabile e quindi le scale e le vie di fuga devono essere lasciate libere. Come mai però non c'è questo stesso problema durante i concerti estivi all'Olimpico dove 50.000 persone si dispongono ovunque? Non c'è un problema di “safety” in questo caso?

Ma quale potrebbe essere la potenziale minaccia dentro il settore, se gli incidenti avvengono fuori dallo stadio?

Secondo il prefetto il problema è il sovraffollamento. In poche parole sostiene che ogni domenica in curva entrano 12.000 persone al posto dei 8.700 posti previsti dalla capienza. Siccome i cancelli aprono due ore prima, questo dato è falso, perchè se fosse vero, vorrebbe dire che ogni domenica ci sarebbero tra i 25 e 30 scavalcamenti dei cancelli al minuto. Ciò è impossibile.

La strategia sulla sicurezza dentro la curva prevede anche altri strumenti repressivi?

Sì, sono arrivate oltre un centinaio di multe da 168 euro per non osservanza del posto assegnato sul biglietto. Se non rispetti per due volte il posto stabilito nell'arco della stessa stagione può arrivarti un Daspo da 1 a 3 anni. La diffida non implica solo l'impossibilità di andare allo stadio, ma ha anche conseguenze sulla libertà personale e sul posto di lavoro. Ci sono state perquisizioni assurde ed invadenti all'ingresso dello stadio anche verso bambini. Si è arrivati a un limite non più sopportabile e da qui è scattata la protesta con la decisione di rimanere fuori dallo stadio durante le partite casalinghe. Se domenica al derby sono entrate solo 400 persone in curva e il resto è rimasto fuori vuol dire che non è solo la protesta dei gruppi organizzati. Se allo stadio non ci si diverte e non si può vivere la partita liberamente, chi me lo fa fare di andarci?

Qual è il reale obiettivo della divisione della curva? Perchè un provvedimento che ricade su tutti i frequentatori della curva, quando si potrebbe perseguire solo i responsabili di eventuali reati?

Partiamo dal presupposto che a Roma non c'è un clima di impunità generalizzata. La dimostrazione sono le centinaia di diffide, di denunce e multe che continuano ad arrivare ad esponenti delle curve. Il reale obiettivo è quello di disarticolare i gruppi organizzati, come è scritto nelle carte parlamentari dell'allora ministro dell'Interno Maroni. All'interno di una concezione turbocapitalista del calcio, lo spettatore deve essere un consumatore passivo. In un articolo uscito su “La Gazzetta dello Sport” c'è chiaramente scritto che l'obiettivo è che gli ultras non si abbonino, così possono essere sostituiti dai nuovi tifosi. In Inghilterra questo risultato è stato ottenuto principalmente con il carobiglietti, in Italia ci si sta provando con le leggi repressive.

Quali saranno le prossime iniziative di protesta?

Le forme della protesta le decidono chiaramente i gruppi organizzati. L'obiettivo è quello di conquistare spazi di libertà, perchè una curva è questo prima di tutto. La protesta sta avendo eco a livello internazionale, sicuramente continuerà, assumendo varie forme. Secondo il mio personale parere, i prossimi passi dovranno essere fatti in modo intelligente.

Ci sono state prese di posizione pubbliche a sostegno della protesta?

Sì, ma con ritardo. Dal mondo politico personalità politiche appartenenti all'opposizione cominciano a farsi sentire. A livello di As Roma, all'inizio c'era un veto, ma ora Florenzi e De Rossi hanno cominciato a prendere posizione. Voci critiche stanno arrivando anche da vertici del Coni e della Figc. Siccome è difficile che un prefetto torni indietro e ritiri i provvedimenti, sarà una lotta a lungo termine, ma sempre più persone si stanno accorgendo, come scrivevano recentemente su uno striscione gli ultras del Bayern Monaco, che il “calcio senza tifosi è nulla”. Il derby ne è stata una dimostrazione pratica.

La forza politica dell’associazionismo del FC Sankt Pauli e la sua internazionalità

Da Amburgo, Massimo Finizio

All’inizio furono gli inglesi. Dai college di Eton, Charterhouse, Harrow e Rugby, sulla spinta di filantropi e pedagogisti innovatori per l’epoca (inizio Ottocento) come sir Arnold, nacquero le prime forme di calcio giocato. Disordinato, aggressivo, senza troppe regole. Un peccato originale. Una mela morsicata che si sarebbe trasformata nel secolo e mezzo a venire in una passione popolare senza ritorno.
Ma gli inglesi non hanno inventato solo il calcio e il rugby. Hanno creato al loro interno anche un modo di esistere e convivere, le cosiddette “association”, che coinvolgono il mondo dello sport e della vita quotidiana, e la “membership” per farne parte. Un modo per coinvolgere le comunità e creare “social work” attorno a questo “peccato”, che era già all’epoca molto più di uno sport, nonché espressione della cultura di un quartiere, di una città, di un corpo sociale.

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Nella geografia del calcio popolare italiano, nato dal basso e con lintento di promuovere iniziative sociali, si inserisce a partire da questa nuova stagione anche lA.C. Morrone.

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Librino è un popoloso quartiere di 80.000 abitanti alla periferia ovest di Catania. Progettato dal famoso architetto giapponese Kenzo Tange negli anni Settanta, doveva diventare una zona residenziale di pregio, una specie di new town ricca di verde, ma le speculazioni edilizie negli anni Ottanta hanno fatto sorgere invece casermoni popolari, tra cui spicca il “Palazzo di Cemento”. Questa torre di cemento senza infissi viene paragonata alle vele di Scampia, essendo famosa per essere il centro criminale del quartiere, ma in realtà è anche il luogo da cui è partita dal basso un’esperienza di sport di cittadinanza: i Briganti Rugby Librino.

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Continua il viaggio di Sportallarovescia all'interno delle rivendicazioni del calcio femminile. Dopo l'intervista a Martina Rosucci, centrocampista del Brescia e della nazionale, oggi ne parliamo con Katia Serra, ex-calciatrice, ora responsabile del "Settore Calcio Femminile" dell'AIC (Associazione Italiana Calciatori).

Cosa è cambiato ad oggi da quanto è uscita pubblicamente la dichiarazione di Belloli "basta dare soldi a queste quattro lesbiche"?
L'ambiente del calcio femminile ha preso consapevolezza prima di tutto che non era più accettabile che Belloli fosse il presidente della Lega Nazionale Dilettanti. Ci sono state molte proteste e reazioni e bisogna sottolineare come il suo allontanamento fosse il nostro obiettivo primario, però solo da un punto di vista cronologico. In realtà il calcio femminile ha un bisogno fondamentale di darsi una propria struttura autonoma e centralizzata. Questo è il nostro vero obiettivo.
E' da evidenziare che la finale di Coppa Italia tra Brescia e Tavagnacco si è giocata, non principalmente perchè è stato allontanato Belloli, ma solamente perchè in una riunione in Federcalcio Damiano Tommasi  (Presidente dell'AIC) e Renzo Ulivieri (Presidente dell'AIAC) sono riusciti ad ottenere un'importante apertura ed impegno da parte di Tavecchio.

In cosa consiste questa apertura?
Il calcio femminile ha un problema strutturale, che va oltre le dichiarazioni di Belloli. La promessa di Tavecchio riguarda appunto un reale cambiamento della situazione.
La novità fondamentale rispetto agli anni passati è che le componenti tecniche (Aic e Aiac) e le tutte le società di calcio femminili hanno presentato un documento comune volto alla realizzazione di quanto promesso. Si tratta di un documento, che tiene conto dell'ordinamento federale, pensato per essere sistemico, fattibile, ma che ad oggi vede ancora delle resistenze all'interno della Federcalcio.
Il documento è ancora al vaglio degli uffici legali della Figc, noi ci siamo date come deadline  il 30 giugno, in modo tale che le promesse politiche possano diventare realtà già dalla prossima stagione. Se entro quella data non sarà cambiato nulla, ci saranno altre forme di proteste fino ad arrivare al blocco dei campionati.

Quali sono i punti cardine di questo documento?
Inanzitutto il riconoscimento dell'autonomia del calcio femminile con l'individuazione di poteri precisi e garanzie di risorse economiche – a partire dai contributi Uefa e Fifa – per creare un sistema di coordinamento centralizzato dell'attività che poi si ramifichi a livello territoriale. Attualmente il nostro mondo è frammentato, mancano delle linee guida progettuali comuni. Questa situazione è anche la conseguenza di una scelta federale del 20 giugno 2011 che ha declassato il calcio femminile da divisione a dipartimento, facendogli perdere quella minima autonomia economica e decisionale, che prima aveva. Questa decisione vide l'opposizione solamente delle componenti tecniche, mentre le società femminili allora votarono a favore ignare delle negative conseguenze. La nostra lotta è partita ormai da tanti anni, molto prima delle dichiarazioni di Belloli. Essere riusciti a mettere d'accordo e unire club e componenti tecniche è il primo risultato importante ottenuto.
La nostra richiesta di autonomia non significa separazione o isolamento dal resto del mondo del calcio, riteniamo fondamentale e imprescindibile il coinvolgimento di quello maschile per lo sviluppo di quello femminile. In merito, alcuni piccoli importanti passi sono stati conquistati nelle ultime settimane: l'obbligo federale per i club professionisti maschili di serie A e B di tesserare 20 bambine under 12 e la deroga, o per l'acquisizione del titolo sportivo delle società femminili o l'acquisizione di quote di partecipazione delle stesse per creare 
delle sinergie in campo promozionale.

Altro tema legato allo sport femminile è quello del passaggio al professionismo. Attualmente tutte le atlete sono considerate dilettanti. E' anche questa una rivendicazione del calcio femminile?
Sì, anche se per il calcio femminile al momento è un obiettivo importante, ma successivo. Prima abbiamo bisogno di una riforma strutturale del sistema. Una volta ottenuta, allora possiamo parlare di professionismo. Per altre discipline sportive, invece i tempi sono maturi e questa rivendicazione è attuale. Ciò permetterebbe alle donne di rendere il loro essere atlete un'attività lavorativa. Questo è fondamentale per ottenere maggiori garanzie come il pagamento di contributi previdenziali e maggiori tutele assicurative. Altro aspetto fondamentale è che il passaggio al professionismo garantirebbe il diritto alla maternità, aspetto ora non previsto per le donne sportive. In altri paesi europei, invece ciò è già realtà. Purtroppo in Italia abbiamo una legge sul professionismo sportivo del 1981 che oramai è obsoleta, perché non tiene conto dei cambiamenti della nostra società. Il numero di donne che praticano sport è aumentato esponenzialmente rispetto a 30 anni fa, gli ottimi risultati che le donne ottengono vincendo titoli e medaglie olimpiche meritano garanzie maggiori.

Ci sono squadre che spariscono per eccesso di debiti e squadre che spariscono per assenza di tifosi.

Questo è il caso del Real Vicenza, squadra arrivata settima nel girone A di Lega Pro. Nel girone d'andata è stata a lungo nelle primissime posizioni in lotta per la promozione in serie B: non male per una società nata solo cinque anni fa e partita dall'Eccellenza!

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