C’è stato il tempo del calcio uruguagio, il tempo del calcio italiano, il momento del calcio brasiliano e quello del calcio spagnolo. C’è stato però un periodo storico in cui a dominare era la “scuola danubiana”. A cavallo tra i due conflitti bellici mondiali, infatti, il miglior calcio lo si poteva trovare sulle sponde del bel Danubio blu (citazione d’obbligo per uno dei più noti valzer di tutti i tempi). Austria, Cecoslovacchia e Ungheria: tre nazionali capaci di raggiungere grandissimi traguardi sportivi prima che le bombe prendessero il sopravvento. Una su tutte però primeggiava: il Wunderteam, la nazionale di calcio dell’Austria, guidata in panchina dalla sagacia tattica di Hugo Meisl e trascinata in campo dall’estro della sua stella più grande: Matthias Sindelar. Ed è proprio del campione austriaco che parla questa storia, una storia di onore, orgoglio e libertà morale, di chi ha saputo opporsi ad una persona e ad un’idea che in quel periodo storico non ammettevano risposte contrarie alla loro volontà.

Ma partiamo dall’inizio.

Matthias Sindelar nasce il 10 febbraio 1903 a Kozlov, piccolo paese della Moravia, all’epoca facente parte del mastodontico Impero austro-ungarico, da una famiglia di estrazione operaria. I genitori di Matthias, viste le ristrettezze economiche in cui versavano, decidono di trasferirsi a Vienna, capitale dell’Impero, per cercare di offrire un futuro migliore ai loro figli. Ed è lì, tra le strade polverose del quartiere operaio Favoriten, che il piccolo Sindelar comincia a prendere confidenza con il gioco del pallone. Giornate intere passate a correre dietro ad una sfera formata per lo più da un agglomerato di stracci, prima che la Grande Guerra scombini la sua routine. Il padre Jan, infatti, mentre combatte contro l’esercito italiano sul fronte carsico, muore sulle rive del fiume Isonzo. Matthias ha solo 14 anni, ma deve iniziare a contribuire al sostentamento familiare. Il calcio diventa così un hobby praticabile solo nel poco tempo libero, perché prima deve andare a lavorare in un’officina della città e poi aiutare mamma Rosie e le tre sorelle nella lavanderia di famiglia.

A pallone, però, Sindelar gioca divinamente, nonostante un fisico gracile ed esile ai limiti del rachitismo. Velocità, dribbling e un destro capace di disegnare le traiettorie più impensabili sono i suoi marchi di fabbrica principali; qualità che si uniscono ad un’encomiabile tempra morale forgiata dalle difficoltà passate. Per il grande salto serve solo che qualcuno creda in lui. Questo qualcuno è Karl Weimann, un maestro di scuola elementare ed ex calciatore dilettante, che nel 1918 lo accompagna a sostenere un provino per la squadra del quartiere, l'Herta Vienna, dove Matthias viene selezionato da Febus Oster. Tre anni dopo, a soli 18 anni, per Sindelar si aprono le porte della prima squadra. Il suo gioco fantasioso e frizzante lo fa diventare fin da subito un idolo dei tifosi locali, che decidono di soprannominarlo – dato anche il suo aspetto fisico - der papierene, “Carta velina”. Dopo una dura infanzia, funestata oltremodo dalla morte del padre, per Matthias sembrano finalmente spalancarsi le porte di un futuro felice, ma ben presto il destino infierisce con un altro duro colpo. Durante la stagione ‘23/’24, infatti, Sindelar si infortuna gravemente al ginocchio destro, lesionandosi il menisco. Un infortunio apparentemente “normale” al giorno d’oggi, ma che in quel periodo rappresentava l’anticamera per un ritiro anticipato, date le tecniche chirurgiche alquanto rudimentali dell’epoca.

Ci vorrebbe un miracolo perché der paperine torni a calcare di nuovo i campi da gioco, e il miracolo arriva. Le sorti del ginocchio destro di Sindelar vengono infatti affidate a uno dei migliori medici dell’epoca, Hans Spitzy, che decide di effettuare per la prima volta nella storia l’operazione del menisco su di un calciatore. L’intervento riesce alla perfezione e Matthias, dopo una lunga ed estenuante riabilitazione, può tornare a indossare i suoi amati scarpini imbullonati. La paura di una ricaduta, però, lo porta ad una decisione epocale: fino al termine della sua carriera, infatti, scenderà sempre in campo con una apposita fascia elastica protettiva che diventerà un suo marchio di fabbrica (come farà tanti anni dopo Edgar Davids con i propri occhiali protettivi).

I tifosi dell’Herta Vienna lo aspettano con impazienza, anche perché a causa della sua assenza la squadra è retrocessa in seconda divisione; ma la crisi economica in cui versa la società porta i dirigenti a cedere Sindelar ai bianco-viola dell’Amateure Vienna (che due anni dopo cambierà nome in Austria Vienna, quando diventerà definitivamente una squadra di professionisti). Matthias in breve tempo fa innamorare di se anche i nuovi tifosi, che letteralmente impazziscono per suoi dribbling a tutta velocità e per il suo tocco di palla così vellutato. Ormai sono maturi i tempi della sua definitiva consacrazione, che arriva puntuale durante la stagione 1925/1926. Der papierene guida infatti i compagni alla vittoria del campionato ed esordisce in nazionale maggiore sotto i rigidi dettami di mister Hugo Meisl. Gli inizi con l’Austria, però, non sono dei migliori. Dopo un’amichevole persa malamente con una rappresentativa tedesca, infatti, mister Meisl decide che di lui può farne a meno, escludendolo a tempo indeterminato dalla lista dei selezionati. L’esilio di Matthias dura ben 14 partite, poi il c.t. cambia idea e decide di dargli una seconda occasione, occasione che Sindelar sfrutta alla grande diventando la stella di quello che passerà alla storia con il nome di Wunderteam, ossia “squadra delle meraviglie”. L’appellativo, affibbiato alla nazionale austriaca dai giornalisti, viene coniato il 16 maggio 1931 dopo la prima delle nette vittorie con le quali l’undici di Meisl impallina le compagini europee rivali: un roboante 5 a 0 alla Scozia. La cinquina rifilata ai discendenti di William Wallace è seguita da altri risultati di spessore: un 6-0 e un 5-0 alla Germania, un 2-1 all’Italia e un 8-2 all’Ungheria; nonché dalla vittoria nella Coppa Internazionale 1931/32 (l’antenata degli odierni Europei).

Alla vigilia della Coppa del Mondo del 1934 lo score dell’Austria è di 16 risultati utili, frutto di 14 vittorie e 2 pareggi, inframmezzati da una sola sconfitta, che però, scherzo del destino, è quella che crea definitivamente il mito del Wunderteam. Il 7 dicembre 1932, infatti, Sindelar è compagni vengono invitati Oltremanica per affrontare l’undici di Sua Maestà Giorgio V. Gli inglesi, che in quanto inventori del gioco del pallone si considerano superiori a tutte le nazionali dell’epoca, vogliono difatti affrontare la compagine più quotata del momento per affermare al mondo la loro supremazia. Il match termina 4-3 in favore dell’Inghilterra, ma la prestazione dell’Austria è così sublime che i giornali britannici titolano: «Gli austriaci ci hanno dato una lezione» (Daily Express), «i nostri ospiti ci hanno insegnato come si gioca» (Daily Herald) e «Nessuno all'altezza di Sindelar» (Daily Mail). La rete di Matthias, in particolare, ha infatti fatto strabuzzare gli occhi a tutti i presenti, compreso l’arbitro dell’incontro, il belga John Langenus (direttore di gara della prima finale dei Mondiali), che descrive così la sua rete alla stampa: «Il goal di Sindelar è stato un autentico capolavoro, che nessun altro, né prima, né dopo di lui, riuscirà più a fare contro avversari così forti come gli inglesi. Partendo dalla linea di metà campo dribblò con l'eleganza del suo inimitabile stile chiunque gli si parasse davanti, entrando in rete palla al piede». Matthias diventa così per tutti il “Mozart del pallone”, ricevendo addirittura un’offerta di ingaggio dall’Arsenal di Herbert Chapman. Sindelar però rifiuta, preferendo restare nella sua amata Vienna.

Nel 1934 Der papierene è ormai, al pari di Giuseppe Meazza, il miglior giocatore che il panorama calcistico europeo possa offrire, diventando addirittura il volto di svariate pubblicità dell’epoca (uno dei primi calciatori della storia a fare ciò). Oltre ai successi in nazionale, infatti, l’anno precedente Sindelar ha guidato l’Austria Vienna al trionfo nella Mitropa Cup, la competizione antenata dell’attuale Champions League, segnando addirittura una tripletta nella decisiva finale di ritorno contro l’Ambrosiana Inter. Con un giocatore di tale calibro come centroavanti, ai Mondiali del ‘34 l’Austria si presenta quindi come una delle grandi favorite. C’è però un piccolo problema: la manifestazione si disputa in Italia, e la storia ci ha insegnato più volte come i regimi dittatoriali vedano i trionfi sportivi come un elemento necessario per unire il paese e mostrare la propria potenza al mondo. E così avviene. Dopo aver eliminato agli ottavi la Francia (3 a 2 il risultato finale) e la temibile Ungheria ai quarti (2 a 1), l’Austria trova come ultimo ostacolo tra sé e la finale di Roma proprio i padroni di casa dell’Italia. Il 3 giugno 1934 va così in scena a San Siro quella che molti definiscono la finale anticipata. Da una parte la tecnica austriaca, dall’altra la fisicità italiana. A trionfare alla fine sono gli azzurri, aiutati oltremisura dal direttore di gara che non vede un netto fallo di Meazza sull’azione che porta al gol decisivo di Guaita. Sindelar non riesce a ribaltare la situazione, anche perché su di lui opera uno dei più ruvidi e spietati difensori dell’epoca, Luisito Monti, un marcatore che non conosce mezze misure - palla o gambe – e al quale il direttore di gara quel giorno permette ogni tipo di intervento. Gli austriaci sono così costretti ad accontentarsi della finalina per il 3°/4° posto con la Germania (persa per 3 a 2 anche a causa dell’assenza di Sindelar), giurando comunque di ritentare la scalata al successo 4 anni dopo in Francia.

L’Europa degli anni ’30, però, è una bomba a orologeria pronta ad esplodere e ben presto la situazione precipita. Adolf Hitler, dopo essersi autoproclamato Führer della Germania, mette infatti in cima alle sue mire espansionistiche l’annessione dell’Austria per formare la cosiddetta “Grande Germania”. Resistergli è impossibile, anche perché una frangia del Paese spinge affinché si verifichi ciò. Per gli “indesiderati” del nazismo che vivono in Austria è l’inizio di un incubo. Tra le tante conseguenze, all’Austria Vienna viene imposto di allontanare i giocatori di origine ebraica e di sostituire il presidente in carica Emmanuel Schwarz, poiché di religione giudaica, con un fedelissimo del Reich, che vieta ai giocatori persino di salutarlo. A Sindelar, però, questi soprusi non piacciono affatto, e lo fa capire chiaro e tondo ai nuovi dirigenti. Infatti, senza paura delle conseguenze, alla prima occasione utile rincuora così il destituito presidente: «Il nuovo fuhrer dell’Austria Vienna ci ha proibito di salutarla, ma io vorrò sempre dirle buongiorno, signor Schwarz, ogni volta che avrò la fortuna di incontrarla».

Le cattive notizie, però, non sono finite per Matthias. Difatti, a causa dell'Anschluss la federazione calcistica austriaca è costretta allo scioglimento, e con essa anche la nazionale. L’epopea del Wunderteam ha così fine senza che Sindelar e compagni possano partecipare ai Mondiali del ’38 (rassegna per la quale si erano già qualificati). L’unico modo per partecipare alla manifestazione è essere scelti nella selezione tedesca. Prima che lo scioglimento diventi definitivo, però, l’Austria è chiamata a giocare un’ultima partita amichevole con la Germania, così da suggellare – secondo il pensiero dei gerarchi nazisti – l’amicizia dei due popoli, oltre che per visionare gli elementi più idonei al rafforzamento della propria nazionale. La partita si svolge allo stadio Prater di Vienna il 3 aprile 1938, davanti a un’imponente folla di sostenitori austriaci e a numerosi esponenti del partito nazista. L’avvio della partita è emblematico: Sindelar e compagni giocano un calcio troppo eccelso per essere fermati dai rivali, ma giunti nelle vicinanze della porta tedesca sbagliano scientificamente la conclusione per sottolineare la loro supremazia tecnica. Questo gioco irriverente ha termine al 17’ del secondo tempo, quando Matthias decide che ne ha abbastanza e lascia partire una delle sue proverbiali conclusioni: palla nel “sette” e vantaggio austriaco. Più che il gol, però, a infastidire gli esponenti nazisti presenti allo stadio è l’esultanza dell’asso dell’Austria Vienna: un balletto beffardo sotto la tribuna d’onore come Der papierene mai aveva fatto in carriera. Come se non bastasse, pochi minuti dopo il Wunderteam raddoppia con una sassata dalla distanza dell’amico fraterno di Sindelar, Schasti Sesta. Il pubblico, ebbro di gioia, inizia a cantare e sventolare le bandiere austriache fino al triplice fischio del direttore di gara, dimenticando per un momento la triste realtà di tutti i giorni. I rospi da ingoiare, però, non sono finiti per i gerarchi nazisti. Terminata la partita, infatti, i ventidue atleti si schierano davanti alla tribuna centrale per il canonico saluto nazista. Su ventidue braccia, però, solo venti si alzano. I due marcatori di giornata, Sindelar e Sesta, restano immobili con le mani ancorate al corpo. Nessuno dei due vuole minimamente darla vinta a Hitler e soci, né tantomeno esser parte di una nazionale che non sentono loro. Il mister tedesco Sepp Herberger vuole però assolutamente Matthias in squadra e nei mesi seguenti prova più volte a convincerlo a indossare la divisa teutonica, ma “Cartavelina” rifiuta sempre adducendo come giustificazione i continui problemi al ginocchio operato. La verità, però, la conoscono tutti, come anni dopo lo stesso Herberger affermerà: «Mi accorsi che c’erano altri motivi per cui non voleva giocare e io decisi di lasciarlo in pace, anche se sapevo che era ancora il più forte».

I dolori per Sindelar, non sono però finiti. Con i suoi secchi rifiuti e le sue continue insubordinazioni al regime, ha infatti firmato la sua condanna a morte. I nazisti capiscono che non possono ucciderlo pubblicamente, in quanto personaggio troppo noto e influente, ma ordiscono nei suoi confronti un piano diabolico per metterlo a tacere per sempre. Sanno che non scapperà mai dai Vienna, perché di quella città ne è pazzamente innamorato, basta solo attendere il momento giusto. E quel momento arriva.

Il 23 gennaio 1939 Matthias e la sua compagna Camilla Castagnola (milanese di religione ebrea, quando si dice le coincidenze) vengono trovati morti all’interno del loro appartamento. Secondo la versione ufficiale a causa del monossido di carbonio fuoriuscito da una stufa difettosa, per molti, invece, a causa di un calcolato ed efferato omicidio. La Gestapo, infatti, archivia subito il caso, facendo sparire il dossier della vicenda.

Alle esequie di Matthias sono più di ventimila i connazionali che partecipano per dare l’estremo saluto alla loro stella. Ventimila austriaci, ventimila sfidanti del regime nazista, una fiumana vogliosa di seguire fino alla fine l’esempio di Der papierene: combattere e opporsi alle ingiustizie.

Ed è proprio questo ultimo, grande dribbling a Hitler e i suoi gerarchi, forse, la più grande e maestosa magia del “Mozart del calcio”.