intervista a Barbujani, presidente Associazione Genetica Italiana

Bruno Bartolozzi (Corriere dello Sport/Stadio) intervista Barbujani, Presidente Associazione Genetica Italiana

 

Cominciano le Olimpiadi e ci si troverà di nuovo ad ascoltare riflessioni standard del tipo: è evidente che gli afro-americani sono veloci, ma appartengono ad una razza che non sa nuotare. I gialli, invece non hanno mai avuto grandi sprinter. Cosa c'è di scientifico in tutto questo?

«Nei luoghi comuni c'è sia verità che semplificazione. Indubbiamente io, lei e Usain Bolt non siamo uguali. Ed è un dato che alla partenza delle finali olimpiche nella velocità ci sia una percentuale alta di atleti caraibici. Anche se il record dei 200 metri per tantissimi anni lo ha detenuto uno di Barletta e che, passando al fondo, vincono sì kenioti ed etiopi, poi, magari, capita che ad Atene trionfi uno di Reggio Emilia ».

Allora è vero che esistono caratteristiche regionali che producono eccellenze?

«Diciamo che fra le varie popolazioni ci sono differenze nella statura media, nel gruppo sanguigno medio, e quindi anche nelle prestazioni sportive medie; alla fine, però, chi vince o perde non è un valore medio, che è un’astrazione statistica, ma un individuo.

Ci sono delle teorie, non ancora dimostrate e che quindi restano ancora tali, che potrebbero spiegare certe performances e certe caratteristiche dei cosiddetti afro-americani. Nei terribili viaggi dall'Africa al nuovo continente gli schiavi subivano una vera e propria decimazione. A quelle apocalittiche traversate resistevano i più forti e quelli che avevano un metabolismo lento. I loro discendenti avrebbero conservato queste caratteristiche: alcuni sono fisicamente fortissimi, altri, avendo successivamente avuto più cibo a disposizione hanno altissime percentuali di obesità, proprio perché discendenti di individui che bruciavano più lentamente grassi e zuccheri ».

Una selezione naturale proprio secondo lo schema generale evolutivo proposto da Darwin: in un ambiente ostile si premiano i casuali possessori di certe caratteristiche individuali. E così si forma un gruppo selezionato. La cosiddetta deriva genetica è poi favorita in certe comunità (come quelle afro-americane) da una scarsa ibridazione, cioè da una bassa attitudine a incrociarsi con altri gruppi.

«E secondo questa teoria, appunto, la presenza di Usain Bolt e Ella Fitzgerald fra gli afro-amercicani si spiega benissimo. E, certo, Ella Fitzgeraldd non aveva le stesse prestazioni sui 100 metri che il vincitore di Pechino. Ma come si potrebbe dire che uno è più afro-americano dell'altra?»

Insomma le caratteristiche genetiche e le differenze sono una cosa, i risultati di una certa selezione in alcuni gruppi e in alcuni territori sono una conseguenza coerente a certe varianze individuali. Mentre tutt'altra cosa è l'idea di razza.

«L'idea di razza è culturale ce la siamo inventata noi, non ha fondamenti biologici. E non perché siamo tutti uguali (non è vero) ma per il motivo opposto, che qualunque gruppo umano, definito su base geografica o culturale, comprende persone fra loro diversissime, come appunto Bolt e la Fitzgerald, se vogliamo usare la categoria degli afroamericani.

Le caratteristiche di un atleta nascono da molte componenti, alcune genetiche, altre ambientali. Nel proprio ambiente ci si sviluppa, si cresce, si ha possibilità di allenarsi con cura, con allenatori giusti, ci si alimenta bene o male, ci si ammala. In base a tutti questi fattori si può realizzare il 100% delle potenzialità che abbiamo ereditato col nostro DNA, o il 90%, o meno. Ma ricordiamoci che ogni popolazione umana contiene al suo interno circa l'85% di tutte le varianti genetiche dell’umanità. Quindi un abitante di Nairobi e uno di Forlì differiscono, in media, poco più di quanto differiscono due abitanti di Forlì. In uno studio recente apparso lo scorso anno su 250.00 caratteri di Dna analizzati nei 5 continenti e messi a confronto non è stato possibile trovare un solo caso in cui tutti gli abitanti di un continente siano uguali fra loro e diversi da quelli degli altri continenti. Vuole un esempio?».

Dica

«Le nostre caratteristiche sono come quelle di un cocktail, può essere più alcolico o più dolce. A secondo della misura di quello che ci si trova dentro. Ma siamo tutti cocktail, discendenti di antenati che si sono mescolati per generazioni e generazioni»

Alcuni pamphlet soprattutto negli Stati Uniti affermano invece che esiste invece una correlazione fra razze e quoziente d'intelligenza, aspettative di successo e, guarda caso, anche prestazioni sportive. Se sei un nero, ad esempio, viene rilevato in uno studio del 1999 di Jon Entine, sei più portato a giocare da 3 o 4 nel basket e non da playmaker. etc...

La comunità scientifica invece sostiene: dietro la nostra diversità non c’è il concetto di razza.

«La comunità scientifica degli antropologi e dei genetisti la pensa così. Non la pensa invece così la comunità medica che lavora in maniera diffusa nel territorio degli Stati Uniti e che spesso utilizza criteri di razza ».

Quali sono i pericoli relativi all'affermarsi di certe tesi...

«Le rispondo citando un fatto che mi è capitato: quando lavoravo negli Stati Uniti ero in un gruppo composto da sole donne. Io di solito stabilisco facilmente rapporti con le persone, ma in quel caso non ci riuscivo. Ad un certo punto ne chiesi ragione ad una collega con la quale siamo poi diventati amici. E mi rispose che si comportavano così perché gli italiani con le donne erano poco corretti.

Ma io non ho fatto niente di male, obiettai. E lei: appunto, ci chiediamo cosa ci stia sotto. E’ un piccolo episodio, ma dimostra come, contro il pregiudizio, non ci sia niente da fare: si perde sempre. Stabilire una correlazione fra gruppi etnici, razziali e comportamenti o prestazioni è estremamente pericoloso. Ci si sbaglia e si va incontro a categorizzazioni che possono anche avere effetti, come noto, terribili».

Affermare che le razze non esistono non significa certo dire che non ci sono differenze.

«E' così. Anzi, dire che non ci sono razze significa sottolineare ancora di più che le differenze tra individui o tra gruppi esistono sempre e vanno tenute in conto, ma non per porre barriere o per attribuire loro significati che non esistono».

Insomma catalogare gruppi di individui secondo una caratteristica comune è facile, ma come si cambia caratteristica i gruppi si scompongono e se ne formano altri. Voi le chiamate variazioni discordanti. Può spiegarlo?

«In tre secoli di tentativi, non ci sono due antropologi che si siano mai messi d’accordo su quante e quali siano le razze umane, finché è ovviamente venuto il dubbio che cercare le razze umane non avesse senso. I moderni studi di genetica ci hanno fatto capire perché: la grande maggioranza delle caratteristiche ereditarie è cosmopolita, cioè presente, a frequenze diverse, in tutti e cinque i continenti. Ad esempio io sono di gruppo sanguigno 0, Rh positivo, e digerisco il lattosio: tre caratteristiche che si riscontrano in europei, asiatici, africani, nativi dell’Oceania e dell’America. Su queste basi, tracciare dei confini fra gruppi razziali è un esercizio arbitrario e inconcludente».

Lei in una conferenza ha sostenuto che è più facile credere ai sette nani che alle razze. Cosa voleva dire?

«Volevo dire che i sette nani, come molti lettori sapranno, non esistono, ma non per questo non sappiamo niente di loro: sappiamo che sono sette e che si chiamano Brontolo, Mammolo, Gongolo, Cucciolo, Pisolo, Eolo e Dotto. Per le razze umane non possiamo dire né quali né quante siano, dunque sono ancora meno reali dei sette nani».

Torniamo allo sport: l'adattamento locale, non la razza, può fare la differenza.

«Prendiamo le caratteristiche di alcuni abitanti delle Ande. Vivendo in altura hanno una densità del sangue molto alta e attraverso questa una maggiore capacità di trasporto d'ossigeno. Ma le loro caratteristiche sono simili a quelle di un atleta che effettua un lungo periodo di allenamento in altura. Diverso è quello che accade in alcuni individui di popolazioni himalayane: la diversità nell'emoglobina implica una maggiore efficienza nel trasporto d'ossigeno senza rendere il sangue così denso come per gli amerindi».

Quindi?

«Non sono emersi mai grandi atleti vincitori di gare di fondo tibetani, nepalesi o del Buthan, perchè manca il resto: allenamento, alimentazione adeguata, diffusione dello sport alla base, e quindi possibilità di far nascere campioni attraverso il lavoro sull'atleta.

Ma lì ci sono potenzialmente dei bravi mezzofondisti».

Insomma invece di prendere kenioti o etiopi e farli lavorare sul fondo, bisognerebbe andare in Nepal

«Poi magari vince sempre un altro atleta di Reggio Emilia, come Baldini ad Atene. Però le caratteristiche fisiche ci sono, ma da sole non bastano e comunque hanno una spiegazione adattativa. Le zone a ridosso dell'Himalaya sono state abitate dalla specie attuale del genere homo da almeno 40.000 anni. Nelle Ande l’espansione si è avuta negli ultimi diecimila anni. Questa è stata la differenza ».

Balotelli, atleta di successo: un simbolo. Qualcuno dopo i gol alla Germania, con qualche piroetta l'ha definito un padano dalla pelle scura...

«Per me Balotelli è significativo per un'altra questione. C’è chi pensa che la nostra identità dipenda dal nostro patrimonio genetico, e quindi cerca di definire un’identità etnica. Le conseguenze sono generalmente strampalate.

Ma soprattutto, una visione di questo genere ci inchioda a un patrimonio ereditario che non possiamo modificare, e quindi ci priva di ogni libertà. A me piace molto di più una definizione di identità basata sul concetto di cittadinanza, cioè della scelta del luogo dove vogliamo vivere. Siamo una specie che da sempre è stata molto mobile e molto ibrida.

Chi ci fa più caso, adesso, se un nazionale tedesco ha nomi di altra origine o chi fa più caso al colore della pelle degli atleti inglesi? Del resto Balotelli è solo uno degli ultimi africani arrivati in Italia. I primi siamo stati noi, circa 60.000 anni fa. E abbiamo sostituito le popolazione, quelle sì di specie differenti dalla nostra, come i Neandertal, che c'erano prima. Sessantamila anni è poco visto che i primi ominidi sono apparsi 6 milioni di anni fa. Ma abbiamo soppiantato tutti e ci siamo solo noi. Un'unica specie, senza razze. Non c'è stato tempo, ci siamo spostati molto, ci siamo incrociati in tutte le maniere. Tutti parenti tutti differenti, con una mamma africana di circa 100.00 anni fa. In mezzo a tanti spostamenti, è giusto che ognuno di noi abbia diritto a scegliere dove vivere per meglio realizzare le sue potenzialità e, tornando a Balotelli, a quale squadra nazionale appartenere».