CHRISTIAN KAREMBEU [Lifou (Nuova Caledonia), 3/12/1970)

12 Luglio 1998. Francia, Saint-Denis, “Stade de France”. È la finale dei mondiali e, per la prima volta nella sua storia, la Francia ne è protagonista. Vincere un mondiale è il sogno di qualsiasi bambino cominci a calciare un pallone, vincerlo nel proprio paese rappresenta l’apoteosi.


Le squadre entrano in campo e si posizionano per il classico rituale pre-partita. 80.000 spettatori si stanno apprestando a cantare a squarciagola La Marsigliese. Le note dell’inno si elevano dagli altoparlanti e anche i calciatori, visibilmente emozionati, scaldano le loro ugole.
Questa Nazionale è la sintesi perfetta della Francia multietnica, che l'ha adottata come proprio simbolo. Cantano tutti: da Barthez a Henry, Diomède e Thuram, originari del Guadalupa, da Blanc a Viera, nato in Senegal, da Lebœuf a Desally, originario del Ghana, da Deschamps a Lama, proveniente dalla Guyana francese, da Djorkaeff a Zidane, di origini berbero-algerine. Ad un certo punto, però, le immagini inquadrano un francese serio e silenzioso, che con gli occhi sembra voler sfidare l’intero stadio, l’intera nazione. Quel calciatore è Christian Karembeu.


Ma perché un giocatore non dovrebbe cantare l’inno del suo Paese, per di più in un appuntamento così importante e socialmente unificante come una finale iridata? Il motivo è presto svelato, Karembeu, nonostante sia anch’egli un figlio di questa Francia multirazziale, ha alle spalle una storia diversa dagli altri compagni. Una storia che non può e non vuole dimenticare.
Christian, infatti, è nato in Nuova Caledonia, esattamente a Lifou. Da giovane si è trasferito in Francia per cominciare la sua avventura calcistica, una carriera che lo ha portato ad indossare perfino la gloriosa camiseta del Real Madrid. Una sorte molto diversa e umiliante, però, toccò a due suoi zii che nel 1931, assieme ad altri membri della loro tribù, vennero esposti come bestie in uno zoo umano all’Esposizione Coloniale di Parigi del 1931.

Quando viene convocato in Nazionale Karembeu, come Neo in Matrix, può scegliere tra la pillola blu, quindi cantare l’inno e uniformarsi al nuovo corso dimenticando il doloroso e infamante passato, o la pillola rossa, utilizzando il silenzio assordate per rimarcare ogni volta il suo dissenso verso il passato indecoroso riservato ai suoi avi. Christian non ha dubbi su quale delle due scegliere: nelle 53 partite disputate con i bleus non ha mai cantato l’inno degli aguzzini dei suoi zii.


Quando Deschamps, in quella sera di luglio, alza la coppa al cielo la sua posizione assume un significato ancor più specifico e rumoroso: per vincere avete avuto bisogno di un figlio di uomini che una volta paragonavate alle bestie.
Forse nella storia del calcio Christian Karembeu verrà dimenticato in fretta come uno dei tanti giocatori che hanno calcato i terreni da gioco, ma la sua missione di portavoce anti-razzismo lo ha sicuramente posto tra i più grandi ambasciatori della storia del ‘900.