di Mauro Valeri

E’ di questi giorni la notizia che anche i giudici, in occasione dell’avvio dell’anno giudiziario, hanno evidenziato le infiltrazioni “mafiose” nelle tifoserie e nelle società calcistiche. Si tratta, in realtà, di casi piuttosto noti ormai da diversi anni. Ciò che però non emerge da questo riportato dai media è che molto spesso, e specie in alcune realtà, questa infiltrazione è avvenuta attraverso esponenti dell’estrema destra, braccio operativa delle varie “mafie”, di cui a volte sono membri loro stressi. Questo vale negli stadi come nella società.

Su come e perché l’estrema destra, soprattutto a partire dagli anni Novanta, è entrata nelle curve abbiamo già avuto modo di scrivere. Qui va ricordato come ciò sia spesso avvenuto con il consenso delle dirigenze sportive nonché con l’uso della forza nei confronti di altri tifosi. Tutto ciò forse i giudici lo sanno, ma nella iscrizione della storia si cerca di negare, facendolo apparire come un fenomeno nuovo epurandolo della connotazione fascista.

Curiosamente, qualche giorno dopo, abbiamo assistito ad un episodio per alcuni versi simile: la riproposizione di un affresco d’epoca fascista (dall’esplicito titolo “Apoteosi del fascismo”), presente nel salone d’onore de CONI, che appariva in bella mostra, come fosse una opera d’arte, in una fotografia riproducente un sorridente Malagò e rappresentanti della Nazionale di rugby. Anche se l’inquietante e mastodontico affresco è sullo sfondo, quella fotografia colpiva perché decisamente inopportuna, soprattutto perché scattata nel giorno della memoria. E’ lo stesso affresco di cui, un paio d’anni fa, avevamo chiesto la copertura e renderlo visibile solo nelle visite private, così come accadeva fino al 1996, quando un sovrintendente di belle arti ha deciso che dovesse essere sempre visibile, in quanto opera d’arte!

In alternativa, avevamo chiesto a Malagò di installare, nella stessa sede del CONI, una mostra permanente sulle discriminazioni razziali perpetrate dal fascismo anche in ambito sportivo (sulla falsariga di una mostra su sport sotto il fascismo e il nazismo che da qualche anno gira per l’Italia, e che il CONI si è ben visto di ospitare). D’altra parte, è un affresco che non ha nulla a che vedere con lo sport, ma è, come dice il titolo, una becera esaltazione del fascismo. A quelle richieste, ovviamente, Malagò non ha mai risposto, e l’averlo scelto come sfondo per una foto fa capire quale sia il suo atteggiamento verso questo tema. L’immagine edulcorata del “bel tempo che fu” che si vuole dare del fascismo è un assurdo, anche perché proprio nello sport vi è stata una certa continuità, non solo in passato (parte degli organizzatori delle “gloriose” Olimpiadi del 1960 erano gli stessi responsabili dello sport durante il fascismo e la Rsi; lo Statuto del Coni del 1942 è rimasto in vigore sino al 1999, nonostante contenesse, all’art.2, l’indicazione che lo scopo dello sport dovesse essere teso al miglioramento fisico e morale della razza!), ma specie nella visione di volerlo riservare ai soli italiani “veri” (escludendo ieri gli ebrei, i neri, i meticci, ecc. e oggi i migranti, i rom, le seconde generazioni, ecc.).

Questa, che sembrerebbe materia da storici è in realtà un pezzo della vita quotidiana, che ritroviamo nelle difficoltà di tesseramento dei figli dei migranti, anche se nati e cresciuti in Italia, nelle vigliacche aggressioni negli stadi e dintorni, nella propaganda nazionalista e criptorazzista di alcuni commentatori sportivi. Tutto ciò ha come obiettivo principale quello di colpire soprattutto coloro che fanno dello sport uno strumento di convivenza, che nella pratica quotidiana ribalta questa visione fascista dello sport.