A livello internazionale esistono pochissime indagini pubblicate su riviste scientifiche sull’argomento dell’Omosessualità nello Sport.

Tuttavia, i media sempre più frequentemente affrontano i temi dell’omosessualità e dell’omofobia nel mondo sportivo visti i crescenti coming out da parte di atleti ed ex atleti professionisti e a fronte anche di alcuni episodi e dichiarazioni a carattere discriminatorio e omofobo.

Ciò che è certo è che l’ambiente sportivo limita la possibilità di esprimere serenamente il proprio orientamento omosessuale: specialmente in alcuni sport, paesi e soprattutto nel mondo maschile.

Questo costringe molti atleti a vivere la propria esperienza in maniera non completa.

 

Quali sono le ragioni che sottendono a queste realtà?

 

Lo stereotipo che solitamente abbiamo dell’atleta di sesso maschile è quello di una persona che viene associata a caratteristiche quali forza e mascolinità. Per questa ragione risulterebbe difficile accettare un coming out da parte di uno di loro: essere gay minaccia l’immagine degli sport maschili, soprattutto in quelli che rappresentano per eccellenza un simbolo di virilità e machismo.

Lo stereotipo femminile generalmente prevede una figura più emotiva, debole e fragile rispetto all’uomo. Il mondo dello sport però richiede alle atlete caratteristiche psicologiche e fisiche considerate di patrimonio maschile. Quindi una donna che va a presentare queste qualità viene spesso considerata mascolina e poco femminile: ne sono un esempio le ex tenniste Martina Navrátilová e Amélie Mauresmo.

Ad ogni modo, i fatti parlano chiaro: nel mondo sportivo è più alto il numero delle donne a fare coming out rispetto agli uomini, è maggiormente accetta l’omosessualità femminile rispetto a quella maschile.

 

Ma nel mondo sportivo professionistico è più conveniente fare o non fare coming out? Cosa si consiglia?

Intorno agli atleti d’elite ruotano forti interessi economici dati soprattutto dagli sponsor decisi a tutelare l’immagine dei propri testimonial. La tennista Martina Navrátilová dopo aver dichiarato la sua omosessualità, negli anni ‘80, perse ben 12 milioni di dollari di contratti pubblicitari.

Sports Illustrated, famoso periodico sportivostatunitense,in un sondaggio ha rivelato che il 65% del campione selezionato sarebbe stato meno propenso ad acquistare un marchio sostenuto da un atleta gay.

Mantenere comportamenti eterosessuali risulta a volte necessario per preservare le relazioni di gruppo ed anche garantire la continuità delle sponsorizzazioni e del sostegno finanziario.

Personaggi, come John Amaechi (atleta tgay del basket americano) e Max Clifford (ex cestista britannico, professionista nella NBA e in Europa e gay dichiarato) consiglierebbero agli atleti di non fare coming out o di farlo solo molto tardi in quanto potrebbe esseredistruttivo per la loro popolarità, il loro successo e la capacità di guadagno. Non è un caso, infatti, che gran parte degli atleti professionisti gay decidano di fare coming out a fine carriera.

Altri come Jon Wertheim di Sports Illustrated e Jim Courier (ex tennista ed allenatore statunitense) pensano che il coming out da parte di un atleta potrebbe quasi andare a suo vantaggio: la differenziazione ad oggi sarebbe fondamentale per ottenere contratti di sponsorizzazione.

L’associazione inglese Stonewall afferma che, al di là dei possibili vantaggi economici, il coming out di una personalità nota incrementerebbe notevolmente la fiducia in sé stessi di molti fans che riuscirebbero così a non vedere il proprio orientamento sessuale come un ostacolo al successo professionale.

 

Tra i più famosi personaggi (atleti/e ed ex atleti/e) che hanno fatto coming out nel mondo sportivo troviamo: le già citate tenniste Martina Navrátilová e Amélie Mauresmo, Billie Jean King, l’ex giocatore professionista di football americano Esera Tuaolo, l’ex rugbista gallese Gareth Thomas, l’ex giocatore ed oggi manager dell’NBA Rick Welts, l’ex pugile Emile Griffith, il tuffatore Matthew Mitcham, l’ex ciclista campione del mondo su pista Graeme Obree, la campionessa mondiale svedese specializzata nel salto in alto Kajsa Margareta Bergqvist, l’ex sciatrice alpina Anja Paerson e più recentemente il pugile portoricano Orlando Cruz.

Su wikipedia, a questo link http://en.wikipedia.org/wiki/Gay_athletes trovate l’elenco di tutti gli atleti LGBT che hanno fatto coming out.

Al momento negli sport più popolari al mondo (football, baseball, basket, hockey, tennis, volley, rugby) gli atleti di sesso maschile che si sono dichiarati gay mentre erano ancora in attività sono pochissimi.

Fare coming out non è cosa semplice: alcuni, come il campione Ayrton Senna, si creano mogli di copertura.

 

E’ soprattutto nel mondo del calcio maschile che l’omosessualità rimane ancora un tabù: rappresenta infatti una delle attività sportive simbolo per eccellenza della virilità e del machismo. Proprio per questo sembrerebbe più difficile per un calciatore gay fare coming out: il rischio di diventare oggetto di discriminazioni, da parte della tifoseria e dei media, sarebbe troppo grande. Ci sono poi enormi interessi economici alla base del calcio-spettacolo moderno che inducono a coprire scandali, creare fidanzate o mogli di copertura e allontanare i calciatori che espongono apertamente la propria omosessualità. Inoltre molti contratti calcistici proibiscono ai calciatori di dichiarare il proprio orientamento sessuale e la Fifa ha emanato il divieto ufficiale di baciarsi dopo un gol.

Tra i pochi calciatori al mondo ad aver fatto coming out ricordiamo Wilson Oliver, dell'Uruguay, primo calciatore ad aver dichiarato pubblicamente la propria omosessualità negli anni ‘80, vittima di discriminazioni omofobe che lo hanno portato a lasciare rapidamente la carriera calcistica; Justin Fashanu, calciatore inglese di colore, morto suicida negli anni ‘90; Anton Hysen, primo calciatore svedese ad essersi dichiarato gay nel suo Paese; Robbie Rogers, attaccante statunitense che giocava in Inghilterra e che recentemente ha deciso di fare coming out e di abbandonare il mondo calcistico a soli 25 anni.

L’ultimo calciatore gay dichiarato nel mondo del calcio, ancora in attività, è David Testo, centrocampista statunitense del Montrial Impact.

Benchè nel calcio femminile l’omosessualità sia maggiormente accettata, degno di nota rimane il caso di Eudy Simelane, capitano della nazionale femminile sudafricana dichiaratamente lesbica. L’atleta venne uccisa nel 2008 con numerose coltellate dopo uno stupro di gruppo “correttivo” allo scopo di cambiare il suo orientamento sessuale. Questa notizia ha girato il mondo creando scalpore e polemiche a cui sono seguite anche varie contestazioni ma ad oggi la situazione è ritornata quella che era: in Sudafrica, benché ci siano delle leggi anche molto aperte, l’omosessualità non viene tollerata e la si “cura” attraverso la fede religiosa e, nel caso dell’omosessualità femminile, attraverso questi stupri correttivi.

Tuttavia, in molti altri Paesi l’omosessualità femminile viene accettata senza alcun problema nel mondo calcistico: sono infatti maggiori i coming out nel calcio femminile rispetto a quello maschile e ne sono un esempio Nadine Angerer, Ursula Holl, Megan Rapinoe, Sarah Walsh.

Una delle ragioni di questi numeri è da ricercarsi anche nella netta superiorità degli interessi economici presenti nel mondo del calcio maschile rispetto a quello femminile.

Dei 3500 tifosi e professionisti del mondo calcistico inglese che hanno preso parte ad un sondaggio fatto dalla Staffordshire University nel 2012, il 93% ha dichiarato che non sarebbe affatto contrario ad un eventuale coming out da parte di calciatori professionisti e la stessa percentuale si è detta contraria anche ad ogni forma di omofobia. I fans inoltre, in questo sondaggio, incolperebbero gli agenti e i club per la mancanza di trasparenza delle organizzazioni calcistiche che imporrebbero la cultura della segretezza.

Sembrerebbe, in base a questo sondaggio, che l’ostacolo maggiore nel mondo del calcio, per gli atleti gay, sia rappresentato per lo più dagli agenti, dalle federazioni o comunque dal personale dirigenziale piuttosto che dalla paura delle reazioni della tifoseria.

Risulta però difficile pensare che questa percentuale rispecchi la realtà.

Sempre la Staffordshire University ha condotto un altro studio su dieci uomini gay dichiarati, di età variabile, che lavorano nel mondo sportivo a vari livelli (professionistico, collegiale o all’interno di club) chiedendo quale fosse la loro esperienza complessiva (come giocatori attuali ed ex, come dipendenti, e come fans) nel mondo dello sport. I risultati sono stati nettamente contrastanti e in egual percentuale: cinque uomini hanno fornito esperienze molto positive e cinque uomini hanno invece riportato esperienze profondamente negative. Questi risultati ci portano a riflettere su come le esperienze gay nello sport possano essere molto più complesse e sfumate di quanto si pensi.

 

In Italia, a differenza di altri Paesi, l’omosessualità nel mondo sportivo rimane ancora un forte tabù non solo nel calcio ma anche in qualsiasi altra disciplina sportiva. Infatti non esistono esempi di coming out da parte di atleti italiani professionisti. E non esiste inoltre una letteratura sul tema dell’Omosessualità nello Sport, eccezion fatta per un libro scritto da Alessandro Cecchi Paone e Flavio Pagano (Il campione innamorato. Giochi proibiti dello sport, Firenze, Giunti Editore, 2012) la cui prefazione è stata scritta da Cesare Prandelli il quale più volte ha dichiarato l’assurdità della persistenza di questo tabù nei confronti dell’omosessualità soprattutto nel mondo calcistico italiano.

La pubblicazione di questo libro ed alcune dichiarazioni pubbliche di Cecchi Paone hanno sollevato varie polemiche. Di certo ricorderete le dichiarazioni di Antonio Cassano in una recente conferenza stampa (http://www.youtube.com/watch?v=FtT4vpfIVWk). La UEFA, per queste dichiarazioni, gli ha inflitto una sanzione di 15.000 euro.

Sempre in Italia, ha fatto molto discutere nel 2008 anche una puntata della trasmissione V-ictory condotta dal giornalista, gay dichiarato, Paolo Colombo su La7. La puntata infatti è stata interamente dedicata al tema dell’Omosessualità nello Sport. Dato il successo e le grandi polemiche riscontrate, la settimana successiva V-ictory ha deciso di dedicare ulteriore spazio al tema. Vi invitiamo vivamente all’intera visione di queste puntate. I link che vi riportano alla prima parte di ogni puntata, all’interno del sito di La7, sono rispettivamente i seguenti:

http://www.la7.it/programmi/v-_ictory/video-332828

http://www.la7.it/programmi/v-_ictory/video-38020

In questi ultimi anni anche Lippi e Moggi hanno rilasciato delle interviste in merito a questo tema dichiarando entrambi che secondo loro non esisterebbero gay nel mondo calcistico.

Ciò che conforta in questo clima di omofobia diffusa nel mondo sportivo è il moltiplicarsi di fondazioni, federazioni, associazioni ed eventi sportivi LGBT, a livello nazionale ed internazionale.

A livello internazionale tra le fondazioni abbiamo per esempio la Gay and Lesbian Athletics Foundation, tra le federazioni e le associazioni sportive abbiamo la Federation of Gay Games, l’ European Gay and Lesbian Sport Federation e la Gay and Lesbian International Sport Association. Queste ultime organizzano insieme alla comunità gay e lesbica gli eventi sportivi LGBT più importanti a livello internazionale: i Gay Games, gli Eurogames e i World Outgames. Eventi sportivi, ma anche culturali, aperti a tutti coloro che desiderino parteciparvi, indipendentemente dal sesso o dall'età purché in regola con un tesseramento di una federazione riconosciuta a livello internazionale. Questi eventi raccolgono assieme atleti ed artisti da tutto il mondo e molti provengono da nazioni in cui l'omosessualità resta ancora un reato punibile anche con la pena di morte.

Anche in Italia abbiamo alcuni esempi di associazioni, società, gruppi e squadre sportive LGBT, soprattutto al nord.

 

Fino ad oggi comunque è stato fatto molto per combattere l’omofobia nel mondo sportivo a sostegno dell’uguaglianza della comunità LGBT. L’Italia però fa eccezione.

A livello internazionale i media ci informano di continue battaglie contro le discriminazioni gay nel mondo sportivo.

Recentemente, ad esempio, la star del basket americano Kobe Bryant ha dovuto pagare una multa molto cospicua per aver insultato un arbitro in termini anti-gay. Peter Vidmar, ginnasta olimpionico, è stato escluso dal comitato di Londra 2012 per il suo attivismo anti omosessuali durante il referendum californiano di quattro anni fa.

La giovane tennista Laura Robson ha indossato un elastico gay friendly durante un torneo disputato nella Margaret Court Arena, campo dedicato all’ex tennista Margaret Court che pochi giorni prima del torneo aveva fatto per l’ennesima volta delle dichiarazioni pubbliche contro i matrimoni gay e contro le persone omosessuali in generale.

In Canada è stata lanciata una campagna fortemente voluta da Patrick Burke e da suo padre Brian (direttore della squadra di hockey su ghiaccio dei Maple Leafs di Toronto), entrambi impegnati nella lotta contro la discriminazione nel mondo dello sport e dell’hockey in particolare. All’interno di questa campagna è stato realizzato un magnifico spot che trovate al seguente link:

http://www.youtube.com/watch?v=SXoTRTAw6Dc

Durante il Superbowl 2012, l’evento più seguito dagli americani, è stato trasmesso uno spot dell’ NBA (https://www.youtube.com/watch?v=T31c0FkZFig), parte di una campagna per cercare di contrastare l’omofobia nel mondo sportivo.

Molti atleti professionisti hanno inoltre preso posizione a favore dei diritti della comunità LGBT compreso il riconoscimento della loro uguaglianza in materia di matrimonio e di adozioni.

David Beckham, per esempio, ha dichiarato che non si sposerà finché non saranno legalizzati anche i matrimoni gay.

Sean Avery, giocatore di hockey su ghiaccio, ha manifestato il suo appoggiato ai matrimoni gay a New York attraverso uno spot (http://www.youtube.com/watch?v=qGGH3M9NKBI).

In Italia Marchisio ha dichiarato di essere favorevole ai matrimoni gay, Mastrangelo di essere a favore anche alle adozioni gay, mentre Gattuso e Cannavaro hanno reso pubblico il loro dissenso per entrambe le questioni.

 

Per concludere, in Italia è necessario fare sensibilizzazione, informazione e formazione su questo tema attraverso ricerche, indagini, articoli e libri. Soprattutto in ambito sportivo, dove viene tutto ingrandito ed enfatizzato, abbiamo bisogno di realizzare campagne pubblicitarie che vadano a contrastare omofobia e discriminazioni sessuali.

In Italia siamo restii ad accettare l’omosessualità: la nostra cultura è ancora molto intrisa di omofobia, maschilismo ed eterosessismo.

Abbiamo inoltre modelli che ogni giorno vanno ad alimentare, con ricadute anche nel mondo sportivo, gli stereotipi dell’uomo macho e virile e della donna debole, fragile, emotiva e per questo considerata meno adatta, rispetto agli uomini, anche nelle discipline sportive.

Lo sport oltre ad una pratica è anche un fenomeno sociale e culturale di grande portata e possiede un grande potenziale formativo ed educativo, può quindi essere veicolo di alti valori ed ideali, strumento di prevenzione e promozione di una cultura al rispetto delle differenze con conseguenti effetti anche a livello sociale e culturale, andando a ridurre fenomeni discriminatori ed omofobi.