“Il calcio è tutto, anche gay” è l’ottimo slogan adottato la settimana scorsa dai tifosi del Bayern Monaco che si sono schierati contro ogni discriminazione, compresa quella per orientamento sessuale. Anche altre squadre avevano promosso iniziative simili: dal Saint Pauli al Fortuna Dusseldorf, dall’Arsenal al Liverpool, ma anche la federazione olandese o quella tedesca. In Italia, tranne alcune affermazioni di Prandelli e un tentativo non riuscito da parte del Verona qualche anno fa, il silenzio sembra imperare.

 

Con la campagna NoDiSex lanciata già a gennaio, abbiamo avuto la forza di essere i primi a porre il problema a partire proprio dal mondo dello sport, anticipando altre iniziative che sono state promosse su queste tematiche, le quali, pur se condivisibili, continuano a far sembrare il tema dell’omofobia un qualcosa che comunque non riguardi l’Italia. L’impressione è che il dibattito sia viziato da due posizioni estreme: da una parte c’è chi continua ad attendere il primo coming out per poter finalmente porre il problema anche in Italia; dall’altra invece ci sono molti che continuano a ribadire la loro convinzione che l’omosessualità non esista nel calcio italiano. Partiamo da questo secondo punto, ricordando che gli omosessuali nel calcio italiano ci sono sempre stati.

A dirlo non siamo soltanto noi, ma anche alcuni storici del calcio troppo spesso inascoltati, o perché hanno trattato il tema in modo piuttosto volgare (come ha fatto in passato Gianni Brera, non scevro anche di un certo razzismo nei confronti dei neri), oppure perché le persone coinvolte sono ormai decedute, e che in vita non avevano mai fatto coming out (ma sul perché di questo silenzio ci torneremo tra breve). E’ questo il caso dello storico Alfio Caruso che, riprendendo anche alcune battute di Brera, nel suo recente Un secolo azzurro edito da Longanesi nel 2013, parla di diversi calciatori omosessuali vissuti durante il fascismo, che sicuramente verso l’omosessualità ha avuto un atteggiamento negativo (basti pensare agli omosessuali finiti al confino). Alcuni di questi calciatori avevano anche indossato la maglia azzurra. Il più noto è forse Carlo Carcabo: “Nato a Varese, ma sempre vissuto ad Alessandria, è stato un buon mediano con cinque presenza in azzurro”. Il meglio però Carcabo lo esprime da allenatore, vincendo quattro titoli con la Juventus. Poi, nel dicembre 1934, subisce un brusco e apparentemente ingiustificato allontanamento dalla società. “La società annuncia di rinunciare all’allenatore per motivi personali, viceversa la vicenda è molto più complessa. L’omosessualità di Carcano era diventata un problema. Un suo calciatore raccontava sorridente nei ritrovi torinesi: mai abbassarsi i pantaloni davanti a lui. A far esplodere il caso la denuncia di alcuni dirigenti bianconeri: accuse di pederastia a Carcano, Mario Varglien, [Luisito] Monti e a un paio di consiglieri. Hanno sostenuto che attentavano alla virtù di Borel. Nella realtà pare che proprio gl’indignati difensori della morale ambissero alle grazie di Felicino. Agnelli jr, ha avuto la forza di evitare lo scandalo, il regime ha però preteso che venisse cancellata l’onta” (p.139).

Per Caruso, l’omosessualità di Carcano era talmente evidente che “Dinanzi allo scarno comunicato della Juve, nessuno si fa domande sulla rimozione dell’allenatore dei quattro scudetti” (ibidem). Il termine pederastia (utilizzata anche da Brera e molto in voga soprattutto durante il fascismo) è dovuta al fatto che all’epoca Felice Borel ha vent’anni, ed è quindi ancora minorenne. Va anche ricordato che, quando il football era arrivato in Italia, la Chiesa cattolica lo aveva duramente osteggiato proprio perché convinta che avrebbe favorito la pederastia (cioè una relazione omosessuale tra un adulto e un minorenne). Curiosamente dei tre nominati da Caruso (Carcano, Varglien e Monti), l’unico a pagare è l’allenatore della Juventus (mentre i consiglieri e gli indignati difensori della morale restano anonimi). Caruso non si ferma a questi nomi. Per lui era omosessuale anche un altro azzurro, Eraldo Monzeglio, per nove stagioni terzino del Bologna e campione del Mondo nel 1934 e nel 1938: “[Omosessuale] Non dichiarato, visto il rigore montante del fascismo; attentissimo, anzi, a dissimulare la propria natura in ogni frangente, però troppo dandy ed effeminato in un ambiente votato alla rudezza e alla sguaiataggine” (p.101). D’altra parte, Monzeglio ha buoni rapporti con la famiglia di Mussolini, e questo era un elemento non da poco anche per evitare denunce di pederastia. Caruso fa rientrare in questo catalogo anche l’oriundo Attila Sallustro, i forza al Napoli e con qualche partita con la maglia della Nazionale.

 

Queste brevi storie ci inducono ad alcune considerazioni. La prima è che sarebbe ora di raccontare la storia del calcio senza negare l’esistenza di giocatori omosessuali. La seconda considerazione è che, come insegnano le esperienze di altri paesi prima ricordati, al di là del coming out di qualche calciatore, è fondamentale che sulla lotta alla discriminazione per orientamento sessuale si schierino innanzitutto il Coni, la Figc e le società (e sarebbe importante che ad essere coinvolte dovrebbero essere proprio le Società coinvolte nei vari “scandali”), non soltanto indossando lacci color arcobaleno, ma inserendo, come più volte da noi richiesto, l’orientamento sessuale tra le forme di discriminazione da combattere. Non solo. Ad oggi, ad esempio, solo l’Internazionale ha nel proprio codice etico un’attenzione anche ad un clima di lavoro attento alle discriminazioni per orientamento sessuale. Insomma, dalle parole ai fatti. Proprio per questo continueremo la nostra campagna NoDiSex anche al di là si Sochi, perché da sempre convinti che l’unico sport che vogliamo è quello senza alcuna discriminazione. Il resto non è sport.