Palestra Popolare Valerio Verbano al Tufello, zona nordest di Roma. Negli anni passati sala dove si trovavano le caldaie delle case popolari Ater del circondario, ora, grazie ai lavori di autorecupero, palestra con corsi di varie discipline a disposizione della gente del quartiere. Causa in tribunale in corso, richiesta assurda di pagamento di affitti arretrati da parte dell'Ater, che si è improvvisamente ricordata dell'esistenza di uno stabile che per anni aveva lasciato in degrado.

 

E' questa la sede dove sabato scorso si è svolta l'assemblea nazionale delle palestre popolari. Prima di tutto è stato un momento importante per la quantità di realtà presenti: una trentina di palestre, da Torino a Trapani, da chi con tanti anni alle spalle di lavoro a chi ha appena cominciato, da chi offre tanti corsi a chi magari ne ha uno solo attivo, da chi propone sport da combattimento a chi anche tessuti aerei e ginnastica artistica. Insomma, ne emerge una fotografia di una realtà molto eterogenea e particolare, ma in forte crescita e soprattutto con la voglia di trovare dei punti in comune, al di là delle differenze.

L'obiettivo della giornata, oltre a conoscersi e confrontare le proprie storie, esperienze e problematiche, era quello di arrivare a costituire un coordinamento nazionale delle palestre popolari.

In tutti gli interventi si è sottolineato come questo aspetto sia centrale e quindi si è cominciato a discuterne le caratteristiche. Si è quindi parlato di organizzare momenti di stage o seminari per mettere in comune le competenze, si è parlato di costruire una mailing list e di provare ad organizzare un momento di dibattito e di pratica sportiva comune unitario.

E' stato citato a più riprese il tema dell'accesso all'impiantistica e dei costi molto alti d'affitto o di gestione, che vanno a costituire un potenziale forte limite per la sopravvivenza delle associazioni di sport popolare.

E' stato oggetto di lungo ed acceso dibattito la questione se essere interni o meno alle federazioni, in modo particolare riguardo alla boxe. Sono stati messi in evidenza le criticità dei meccanismi federali, molto spesso lontani dai veri valori dello sport. Nonostante ciò, varie realtà hanno sottolineato la scelta di iscriversi alle federazioni, sia per non perdere gli atleti agonisti, sia per poter provare a cambiare dall'interno lo sport. Altri interventi sostenevano la necessità di provare a costruire circuiti amatoriali per allargare l'accessibilità degli sport da combattimento anche a chi non vuole intraprendere il percorso agonista, come avviene ad esempio nella Muay Thai con la Uisp o in altre discipline anche con altri enti di promozione sportiva.

Questo continuo scambio di opinioni ha dimostrato una voglia di confronto e una voglia di trovare un minimo comun denominatore che faccia stare insieme tutte le varie realtà per lo sviluppo di uno sport popolare che significa qualità d'insegnamento, tutela e sicurezza dell'atleta, ma soprattutto diritto allo sport per tutti oltre ogni discriminazione e barriera di stampo economico, razzista e sessista. Su queste basi condivise da tutti, parte il percorso del coordinamento nazionale.

Un primo passo è stato fatto...