Sabato 26 giugno, nello stand “libri, media e produzioni” di Sherwood Festival si è tenuta la presentazione del romanzo grafico “Roberto Baggio, credere nell’impossibile”, scritto da Mattia Ferri e disegnato da Nicolò Belandi.

 

Prima domanda rompighiaccio di Giacomo, rivolta ad entrambi gli autori: “Secondo voi, qual è stato l’impatto che ha avuto sulla società e soprattutto sull’estetica della società italiana la scelta di Roberto Baggio di farsi il codino?”

Scherzano gli autori, affermando che una scelta che ha avuto un impatto mai troppo grande, purtroppo (troppi pochi bambini avevano il codino negli anni 90); ci fa capire quanto la passione, la leggenda possa portarci a fare cose molto stupide.

Luca chiede a Nicolò: “Baggio a Brescia è una figura importante. Ci fai una breve sineddoche di cos’è Baggio per Brescia?”

Nicolò: “È un mostro sacro, ancora adesso. Io ci ho fatto recentemente un murales a Brescia con dei ragazzi del quartiere ,per riqualificare un muro; è una figura che è rimasta. Ha riportato entusiasmo a Brescia per quel che riguarda il calcio -tra l’altro in un periodo poco felice- e tante vittorie, tanti successi”.

Giacomo: “La storia di Baggio, come anche quella di Maradona, riesce un po’ a risollevare una situazione sociale e iniettare ottimismo nelle persone. Alla luce di questo, vi faccio una domanda: perché io -che in giovane età non seguivo il calcio- conoscevo Baggio? Qual è il suo lascito?”

Mattia: “Ci abbiamo ragionato anche noi, ragionando da tifosi. Una prima risposta, forse breve, potrebbe essere la sua integrità: è riuscito a mantenere coerenza nella sua carriera, e alto il rispetto per le tifoserie, per tutte le persone che venivano a tifare per lui. È la stessa ragione che l’ha portato ad avere diverbi con gli allenatori, il fatto che chiedesse sempre rispetto e trasparenza totale alle persone con le quali si relazionava. Questa integrità l’ha portata fino in fondo; quando guardo gli occhi di Baggio (che sia in un libro, in una figurina) vedo gli occhi di una persona che non è mai stata sconfitta.

L’altra cosa interessante è il ricordarsi dell’essere umani, e di curare il lato emotivo senza essere delle macchine. Nel 2000 era senza contratto, a Caldogno (la sua città natale) e si allenava con la gente del posto; aveva ricevuto varie offerte, dal Giappone per esempio, ma aveva una famiglia e voleva veder crescere i suoi figli. Per questo ha accettato l’offerta del Brescia, perché ad un’ora di distanza da casa”.

Luca: “Raccontare il calcio non è semplice senza televisione, perché ha bisogno di essere visto, il calcio è movimento. Quali sono state le difficoltà di raccontarlo tramite un fumetto?”

Mattia: “A livello tecnico avevamo optato per una narrazione “per momenti”, il libro è pensato come un album di ricordi fotografici: Baggio ha fatto moltissimo in vent’anni di carriera e noi dovevamo riuscire a racchiuderli in cento pagine, non è stato facile. Allo stesso tempo, la soluzione di avere poche vignette per pagina permetteva a Nicolò di esprimersi al meglio con gli acquerelli. Ci hanno agevolato letture fatte in precedenza, come il fumetto su Maradona, che ci ha fatto capire che fosse possibile fare un fumetto sul calcio. Quindi una specie di regia televisiva che va a riprendere i singoli momenti”.

Nicolò: “Noi siamo appunti partiti scartabellando tra i video, come diceva Mattia. Poi forse abbiamo “esagerato”, sembrava che non riuscissimo ad esprimere il nostro punto di vista. Nel raccontare certi gol invece, forse siamo riusciti a dare una narrazione diversa, che dà il salto di qualità. L’ho visto anche dalle tavole successive: magari parti da una fotografia, ma provi a girare la telecamera, ad immaginare qualcosa (una scarpa in primo piano, ecc)”.

Luca: “La serie Netflix: cosa ne pensate?

Per certi versi tra l’altro questo è l’anno di Baggio, ci sono gli europei. E inoltre, qual è il difetto di Baggio che individuate?”

Mattia: “Pensando che il pubblico Netflix è abbastanza giovane e che non conosce Baggio, la serie fa quello che deve fare: racconta integrità, umanità di Baggio. Da sceneggiatore avrei preferito più calma (in un’ora e mezza hanno inserito troppe cose, accentuando molto il conflitto col padre per esempio). È un eroe dei miti greci: se io mi fossi inventato da zero la storia di Baggio mi avrebbero detto “ma dai, assurdo”.

Invece, un difetto che forse gli riconosco è stato far venire un mezzo infarto a Mazzone in Brescia-Atalanta 3-3, scena che nel film purtroppo non c’è”.

Nicolò: “Mi è piaciuto molto il film, analizza la sua figura a livello personale e come si è vissuto tutto le situazioni che sono accadute. Mi rendo conto che manca l’aspetto calcistico del personaggio, ci sono degli stacchi di tanti anni; però ripeto, a me è piaciuto molto”.

Luca: ”Qual è stato il miglior Baggio calcisticamente parlando?”

Mattia: “Gli anni alla Juve erano quelli della maturità, ha vinto il pallone d’oro, aveva tutta la potenza muscolare della gioventù (credo avesse 25 anni) ed era diventato molto maturo”.

Nicolò: “Anche io sono d’accordo, anche se il cuore mi farebbe dire gli anni di Brescia”.

Giacomo: “Il vostro primo ricordo legato a Roberto Baggio?”

Mattia: “Giocavo alla PlayStation 1, erano gli anni ‘90. Nel gioco c’erano i nomi del giocatore sbagliati, ma Baggio lo si riconosceva per il codino; quando segnavo con Baggio esultavo perché sapevo che anche mia mamma era una sua fan, ed esultava con me.

Il ricordo più vivo invece è legato al 2001, io avevo dieci anni e la mia vita era scandita dal calcio: giocare con gli amici all’oratorio fino a quando calava il sole e si andava a vedere Novantesimo minuto. In una di quelle occasioni vedo il gol di Baggio, li nella televisione dell’oratorio. Baggio mi ricorda di quando giocavo a calcio con gli amici nel parchetto, o nei parcheggi”.

Luca: “Nicolò, volevo chiederti di quale tavola sei più fiero”.

Nicolò: “Penso quella in copertina, col suo volto diviso a metà; quella mi è venuta particolarmente bene”.