Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira.

Sembra una filastrocca portoghese, invece si tratta del nome completo di uno dei calciatori più eclettici, intelligenti, rivoluzionari e stravaganti della storia calcistica mondiale: Sócrates!

Non poteva trattarsi di una persona ordinaria. Con un nome come quello, che richiama il leggendario pensatore ellenico maestro e pioniere del pensiero occidentale, forse si nasce già con una marcia in più quando si vuole stravolgere le regole politiche del calcio.

Supposizioni filosofiche a parte, Sócrates fin da piccolo ha esplorato e respirato i concetti di rivoluzione di pensiero grazie all'ambiente intellettuale di estrema sinistra nel quale il padre, libero pensatore e sostenitore del pensiero democratico, lo fece crescere.

Ma poi c'è il calcio, già, il calcio. Se in Brasile possiedi uno smisurato talento col pallone tra i piedi, non c'è bisogno che tu vada a cercare gloria in questo sport, perché è lui a venire da te.

E senza alcun dubbio Sócrates di talento ne aveva tanto, fin troppo. La sua classe era in grado di permettergli giocate inarrivabili alla grande maggioranza dei calciatori. La sua mentalità evidentemente superiore alla media, gli permetteva di disegnare col pensiero giocate sopraffine, vedere spazi dove nessuno li vede, capire prima quale sia il luogo corretto in cui far andare il pallone e, sempre grazie al talento, riuscire sempre a metterlo esattamente dove la sua mente lo aveva immaginato. Non sono stati molti i centrocampisti in grado di possedere una visione di gioco come la sua, e allo stesso tempo le capacità balistiche per crearla.

La ricetta per diventare uno dei migliori calciatori al mondo è servita. Il talento smisurato non manca, l'intelligenza impeccabile nemmeno. C'è solo un problema, a Sócrates del calcio non interessava minimamente. E quando manca la voglia di giocare il talento ti porta solo fino alle nuvole, senza arrivare mai alle stelle. Per lui le grandi passioni da coltivare erano la medicina e la politica. Amava studiare, informarsi, disquisire sui temi più svariati dalla filosofia alla sociologia, dalla politica ai temi d'attualità. Nulla a che vedere con il mondo, spesso frivolo e superficiale, del calcio.

Ecco per quale motivo, nonostante si stia parlando di un giocatore formidabile sul campo di gioco, Sócrates non viene ricordato principalmente per il suo calcio, bensì per quello che sapeva fare meglio: rivoluzionarne il pensiero.

Partiamo dall'inizio. Il ragazzo entra a far parte del mondo del calcio che conta all'età di 24 anni, estremamente tardi per la consuetudine sportiva, e lo fa giocando e crescendo sportivamente nel Botafogo, squadra della città di Ribeirao Prieto. Già qui le sue attitudini da leader, più fuori che dentro al campo, lo avevano reso un giocatore che parrebbe appartenere ad una realtà differente da quella che tutti sono abituati a vedere. Ma ancora il suo nome non era abbastanza importante per arrivare a fare qualcosa di stupefacente, sovversivo e rivoluzionario. Cosa che invece gli riuscirà dopo esser stato ceduto al Corinthians, squadra di San Paolo molto legata al ceto più popolare del Brasile e quindi ambiente ideale per permettere ad un personaggio come Sócrates di fiorire come uomo, come pensatore e, di conseguenza come calciatore. Con la maglia bianco nera del Corinthians il talento brasiliano segnò 172 reti in cinque stagioni, trascinando il club a tre campionati vinti e divenendo idolo assoluto per i suoi tifosi e compagni.

Il Brasile dal 1964 fino alla metà degli anni '80 è stato gestito da una ferrea dittatura militare che ne ha soppresso ogni sentimento democratico o affine ad esso. Ed è alla fine di questo “Ventennio” di regime brasiliano che va inserito ciò che accadde in casa Corinthians per capirne realmente le dinamiche. Dopo una stagione negativa per il Timao (il timone, simbolo rappresentato sullo stemma della società), nel 1981 giunse come nuovo presidente Waldemar Pires, l'uomo della provvidenza per il club e, nel suo piccolo, per l'intero Paese. Il signor Pires fu però solo co-protagonista della rivoluzione che la società ha creato nelle stagioni '82-'83, perché chiaramente il fomentatore principale non poteva che essere il capitano del team, Sócrates.

Venne perciò creato da queste due personalità di spicco, appoggiate dal resto del club, un nuovo modello molto particolare che gli annali hanno definito Democracia Corinthiana.

In un Paese dove i moti di democrazia erano sempre meno celati e dove la dittatura vigente iniziava ormai a mostrare evidenti segni di cedimento, il modello di Democrazia Corinthiana è stato un simbolo di estrema rilevanza non solo per il mondo sportivo, ma per l'intera politica brasiliana. Ma di cosa si trattava nel concreto? Immaginate una società nella quale ogni decisione venga presa in modo democratico con il metodo della votazione. Gli orari d'allenamento, le cessioni e gli acquisti, gli accorgimenti alimentari, le sanzioni, a volte anche le formazioni in campo e molte altre dinamiche venivano prese insieme da tutti, dove il voto del magazziniere valeva esattamente quanto quello del presidente. Dove l'allenatore non aveva alcuna superiorità di ruolo rispetto al suo calciatore.

Un modello certamente assurdo per la realtà che conosciamo noi, una forma di pensiero sportivo inattuabile nell'odierna situazione europea. Ma non dimentichiamo che il contesto sociale in cui avvengono le dinamiche può stravolgere il senso di una presa di posizione così, e infatti il modello funzionò. Per i due anni in cui è durato, il Corinthians ha vinto due campionati e ha avvicinato migliaia di persone al suo modo di fare calcio, molto improntato su una proiezione di aspettativa reale del proprio Paese.

La Democracia corinthiana per la sua unicità e la sua importanza simbolica ha fatto immediatamente il giro del mondo facendo parlare di sè in ogni angolo del pianeta. L'obiettivo era riuscito, a livello di risultati sia sportivi che politici, e questo è stato senza dubbio il grande capolavoro della vita di Sócrates.

Dopo questa esperienza, e dopo la visibilità al mondiale di Spagna '82, Sócrates si trasferì a Firenze per vestire la maglia viola della Fiorentina. Ma l'Italia non è il Brasile, gli allenamenti erano veri, si correva e si faticava troppo per uno che si era abituato ad allenarsi a ritmo di samba, dedicando la sua vita alle sigarette e all'alcool. Sócrates non era un atleta, era un ottimo calciatore ma la vita dell'atleta non l'aveva mai saputa sperimentare veramente, e senza questo in Italia non ci si può giocare. Tornò già l'anno seguente in patria prima con la maglia del Flamengo e poi del Santos, ma il suo momento di splendore era ormai superato. Una pessima comparsata al mondiale del 1986 (nel quale sbagliò il rigore che portò all'eliminazione dei verde-oro) decretò la fine di una incredibile carriera, che lo svincolò dal calcio per permettergli di dedicarsi alla sua passione mai abbandonata e diventare finalmente medico. Non lasciò tuttavia il Futebol, perché divenne anche un amato commentatore e opinionista sportivo. Ci lasciò nel 2011 all'età di 57 anni a causa di una cirrosi epatica che lo tormentava da molto tempo.

Sócrates, il “Tacco di Dio” (come veniva soprannominato), fu senza dubbio l'uomo giusto per il suo Paese, a cui capitarono le doti sbagliate, ma che grazie ad esse e al suo pensiero trasversale nel percepire il calcio, seppe scrivere la storia di questo sport. Due parole apparentemente quasi contrarie tra loro sono state accostate in modo così sublime da un uomo che può senza paura definirsi così: il Filosofo del Calcio. Obrigado Sócrates.