Per la rubrica "La pillola storica" ripercorriamo la vita calcistica di Diego Armando Maradona, l'uomo che con il suo estro, la sua fantasia e il suo talento puro ha scardinato i classici concetti del calcio.

 

30 Ottobre 1960. Lanús, Argentina. I signori Diego e Dalma stanno per mettere al mondo il loro primo figlio maschio. Lo chiameranno come il padre, Diego, ma siccome in Sud America è quasi riduttivo appellare il proprio figlio di un solo nome, sceglieranno di aggiungere poi il secondo nome Armando. Già, Diego Armando, colui che è destinato a diventare il più forte di tutti. Colui che, assieme a Jesus e ad Ernesto Che Guevara, è chiamato a riempire uno dei tre capisaldi di cui da sempre l'anima argentina ha bisogno di essere riempita. Il primo rappresenta la divinità spirituale, quella religiosa, che nel Paese di san Francisco Solano non potrà mai mancare; il secondo è divenuto la divinità dell'ideale, dei valori e del Popolo, centro nevralgico dell'essenza argentina; lui, invece, si è preso di prepotenza l'ultimo dei pilastri culturali della sua Tierra, quello “albiceleste”. Diego Armando Maradona diventerà per tutti, e non solo in Argentina, el D10S del Fútbol.

 

5 Dicembre 1970. A soli dieci anni Diego entra nelle cosiddette Cebollitas. Il settore giovanile dell'Argentinos Juniors, squadra di Buenos Aires, nonché il suo primo club da professionista. La commovente fatica e il sacrificio fatti da papà Diego per far giocare il figlio a pallone saranno nella vita di Diego Armando fin da subito le prime forze trainanti che faranno funzionare già in giovanissima età quel talento sregolato, incurante e anarchico che lo caratterizzeranno per tutta la carriera sportiva e per tutta la vita. La squadra giovanile dell'Argentinos Jr quell'anno arrivò a 136 partite consecutive senza sconfitte. Dato ancora irrilevante se si pensa a cosa accadrà in futuro, ma che apre le porte ad una carriera nella quale poesia, arte, talento e demoni si intrecciano come le note folgoranti di un tango argentino, come un pallone che passa da un piede all'altro con disarmante rapidità, e che poi, quasi sempre, conclude la sua corsa dentro ad una rete.

 

20 Ottobre 1976. La società dell'Argentinos Jr aveva già messo da tempo gli occhi su quel ragazzino. Era basso, era tozzo, leggermente sovrappeso, ma era impossibile non accorgersi di ciò che stava maturando nel vivaio del club. La squadra lo fa debuttare con la numero 16 contro il Talleres de Córdoba. Non aveva nemmeno compiuto gli anni scritti dietro la schiena, e in quel giorno vinse già il suo primo record. Fu il più giovane di sempre a esordire nel campionato argentino.

 

14 Novembre 1976. Ci mette neanche un mese Dieguito per segnare i primi gol della sua carriera. Doppietta al San Lorenzo de Almagro e spezzato ogni possibile dubbio. Stava nascendo una stella.

 

19 Febbraio 1980. Il ragazzo, appena ventenne, aveva messo in bacheca già due titoli personali di grande rilievo. Vinse per due anni consecutivi il Pallone d'Oro sudamericano (all'epoca il Pallone d'Oro riconosciuto dalla Fifa spettava solo a giocatori europei). Ma Diego non li aveva festeggiati come voleva lui, e allora arrivò contro il Deportivo Pereira il gol che lui stesso definì il più bello della sua carriera. Purtroppo i filmati video non permettono una grande godibilità, ma se state leggendo quest'articolo, interrompete la lettura per pochi secondi e guardate questo gol. I commenti non servono, anzi, sarebbero sminuenti.

 

20 Febbraio 1981. Il repubblicano Ronald Reagan era da pochi giorni succeduto al democratico Jimmy Carter alla presidenza degli Stati Uniti. Maradona, che non ha mai nascosto fin da ragazzo il suo colore politico - colore che lo porterà poi a ricoprirsi di simbolismi popolari fondamentali per la sua gente - in tutta risposta, si trasferisce al Boca Juniors. Il Boca è da sempre la squadra dei quartieri popolari di Buenos Aires, “el equipo de los Obreros” (squadra dei lavoratori), contrapposta alla lussureggiante e aristocratica sponda bianco-rossa del River Plate. Solo da una piazza così Maradona poteva imparare a diventare grande. Perché Diego non ha mai incantato tra i potenti. L'unica esperienza in un team “d'alta classe”, il Barcellona, fu forse la peggiore della sua carriera. Non poteva esistere una maglia che gli calzasse meglio di quella giallo-blu del Boca, e la statua a misura d'uomo che oggi troneggia dentro alla Bombonera lo dimostra. Quello che Maradona ha lasciato a Buenos Aires è il primo vero grande miracolo del Diés.

 

5 Giugno 1982. Noi italiani ci siamo appena laureati campioni del mondo in Spagna. Maradona forse per la prima volta contro Rossi e compagni ha dovuto fare la parte della comparsa di fronte alla più bella prestazione della carriera di Claudio Gentile, suo instancabile marcatore. Tuttavia il suo talento aveva già fatto il giro del mondo e la sua prima competizione mondiale con la maglia della nazionale lo aiutò così ad approdare in Europa, nello stellare Barcellona. A causa di lunghi infortuni, una epatite virale e un ambiente per nulla adatto ad un animo libero e sregolato come il suo, la stella di Maradona inizia pian piano ad offuscarsi. Il talento rimane infinito, ma da quelle parte pochi anni prima è passato un certo Johan Cruijff, e non è semplice essere il numero uno se devi competere con il più forte giocatore europeo di tutti i tempi.

 

5 Luglio 1984. Si pensa che da qualche parte, nel mondo, ognuno di noi abbia un'anima gemella. Qualcuno, o qualcosa, che è in grado di completarti, di renderti perfetto, di innalzarti su un piano superiore. Diego quel 5 luglio firmò allo stadio San Paolo di Napoli proprio il contratto che lo legò alla città della sua vita, al popolo che gli serviva per esprimere quel che aveva dentro e che ancora in qualche modo stentava ad uscire. Fu qui che Maradona smise di essere solo un “pibe” (ragazzo) di talento, e iniziò la sua ascesa per diventare el Pibe de Oro.

 

31 Maggio 1986. Siamo in Messico. Ha inizio in questa data quello che diverrà l'unico mondiale nella storia di questo sport ad essere ricordato con un solo ed unico nome: Diego, e quale se no? Senza voler render cronaca di cosa accadde nella competizione, ad alzare quella coppa sarà una delle più mediocri nazionali che l'Argentina avesse mai avuto nella sua storia. Ma c'era Diego, e con Diego i deboli di solito fanno la parte dei forti. Che cosa serve ad un campione di questo sport per essere marchiato a fuoco nella storia? Facile, un titolo mondiale. Messico '86 diede a Maradona anche questo. Questo, oltre a quel quarto di finale: Argentina-Inghilterra. Il momento più alto della carriera di Diego. Come Picasso ha dipinto il Guernica; come John Lennon ha pubblicato Imagine; come Michelangelo ha affrescato la Cappella Sistina. Ogni grande artista ha il momento che inquadra la propria carriera. Per Maradona tale momento è quell'incontro. In quattro minuti arrivano prima il gol più discusso e poi il gol più bello della storia del calcio. Tutto Maradona è stato immortalato qui, per sempre, in eterno, in questi due gol. La Mano de Dios y el Barrilete Cosmico!

 

10 Maggio 1987. Il Napoli era da anni una compagine competitiva, di talento, ma con nulla in più delle sue rivali che l'avesse mai portata a primeggiare. Ma Maradona questo non lo accettava. Juventus, Milan, Inter... loro erano i potenti. Loro erano quelli che vincevano a discapito dei più deboli, le cose non dovevano andare così. Dopo il pareggio per 1-1 contro la Fiorentina il Napoli si laurea per la prima volta nella sua storia campione d'Italia. Risultato che ripeterà nella stagione '89-'90, sempre nel nome (e nel piede sinistro) di Diego. Mai si era vista una squadra dover rendere così tanto ad un solo giocatore. Napoli non dimenticherà mai quei trofei e chi glieli ha messi in mano. Nessuno indosserà mai più la Dieci azzurra, e questo è solo un piccolo esempio dell'immensa riconoscenza e gratitudine di questo popolo. Qui Diego ha compiuto il suo secondo grande miracolo.

 

17 Marzo 1991. Dopo la luce nella vita di Maradona arrivano sempre le tenebre, è un ritornello che Diego ha dovuto costantemente sentire. Dopo il match contro il Bari, un controllo antidoping a sorpresa rileva della cocaina nel sangue del campione argentino. L'anno e mezzo di esclusione dal calcio segna la fine della sua esperienza italiana e l'inizio della fase discendente che da questo momento avrà tanti bassi e pochi, pochissimi alti.

 

28 Settembre 1992. Maradona debutta con la maglia del Siviglia. È appesantito, spento, visibilmente triste. La luce di Messico '86 era solo un bel ricordo, e le partite giocate nella capitale andalusa furono le ultime di Diego nel Vecchio Continente.

 

31 Ottobre 1993. Una carriera movimentata e controversa come la sua non poteva che concludersi a casa, nella sua Argentina. Là dove, a prescindere da tutto, sarà sempre amato e protetto da chiunque, forse tranne che da sé stesso. Approda al Newell's Old Boys, dove però durerà solo un anno lasciando il club in malo modo per ripresentarsi, ormai caricatura di sé stesso, ad Usa '94, vetrina degna per poter dire addio al calcio giocato.

Maradona ebbe poi una carriera anche come allenatore, che lo portò fino alla guida della nazionale nel mondiale del 2010 in Sud Africa. È chiaro tuttavia che questa parentesi della sua carriera sia solamente riempitiva e ornamentale.

 

25 Novembre 2020. Dopo essere riuscito ad arrivare fino in cielo, per rubare a Dio quell'iconica mano che lo rese infinito; dopo aver toccato i più bassi e incandescenti fondi degli inferi, per seguire quella maledetta falsa amica bianca e polverosa che bene o male nella sua vita ha giocato sempre ruoli imponenti; dopo aver fatto innamorare come fece Garibaldi un secolo prima due mondi apparentemente opposti, che in questo momento sono stretti attorno all'uomo che con il medesimo linguaggio, quello del pallone, ha regalato loro il sogno di poter vedere qualcosa fino a quel momento impensabile. Dopo tutto questo se ne va Diego Armando Maradona. E allora, parafrasando la più grande voce sportiva sudamericana di sempre, quella di Victor Hugo Morales, che ebbe l'onore di commentare quell'indimenticabile mondiale di Messico '86: “Gracias Dios, por el fútbol, por Maradona!