Nel pieno di una crisi sociale che sembra non avere una via d’uscita, in Colombia si continua tranquillamente a giocare a calcio. Nel tentativo di invisibilizzare la protesta, in questi giorni nel paese si sono giocate alcune partite della Copa Libertadores tra le proteste della popolazione e anche di alcune squadre del continente.

A Pereira, città che nei giorni scorsi è stata teatro di una durissima repressione che ha portato alla morte del giovane pacifista Lucas Villa, si è giocata la partita tra il Nacional di Medellin e il Nacional di Montevideo. E mentre alle due squadre interessava solo aver la garanzia di poter giocare in sicurezza, fuori dalla finestra degli hotel dove alloggiavano i giocatori gli ultras della città di Pereira chiedevano a gran voce che la partita venisse sospesa.

 

Anche a Barraquilla si sono disputate alcune partite in questi giorni: mercoledì il Junior FC contro il River Plate e giovedì l’incontro tra América de Cali e Atletico Mineiro. Fuori dallo stadio Romelio Martínez lo stesso copione, con durissimi scontri tra ESMAD e manifestanti che chiedono a gran voce che vengano fermate le partite. Nel dopo partita, l’allenatore del River Plate Marcelo Gallardo ha dichiarato che «non è stata una situazione normale, non possiamo far finta di non vedere, giocare una partita di calcio con il suono dei proiettili che provenivano dalle strade, con il gas dei lacrimogeni che entrava in campo».

 

Non è un mistero che in queste due settimane di sciopero generale il governo abbia tentato in tutti i modi di minimizzare e silenziare la portata storica degli eventi, con milioni di cittadini colombiani che quotidianamente scendono in piazza contro il governo. Alcune inchieste parlano addirittura di oltre il 75% della popolazione che appoggia il “paro nacional” e di un’approvazione nei confronti del presidente in caduta libera.

Se i media tradizionali fanno il loro “dovere” occultando ciò che succede nelle strade, il fútbol, è perfetto per mostrare una facciata di normalità sia all’interno del paese, sia verso l’esterno. Utilizzare lo sport per occultare le violazioni dei diritti umani d’altra parte non è un “giochetto” nuovo: dalle Olimpiadi di Berlino del 1936, alla Coppa Davis cilena del 1976 fino ai più recenti casi del “pinkwashing” del Giro d’Italia pro Israele o i prossimi Mondiali di Calcio in Qatar, lo sport è uno strumento del potere che appunto è fondamentale per sviare l’attenzione e mostrare una realtà distorta.

Anche per questo motivo, oltre a quello economico naturalmente, la CONMEBOL (la federazione di calcio sudamericana), ha deciso di confermare la fase finale della Copa América in Colombia. Decisione che sta sollevando moltissime proteste, anche tra giocatori e addetti ai lavori: l’ex campione argentino Juan Pablo Sorin, non ha usato mezzi termini nel definire «una vergogna che si sia giocata la partita tra Junior e River Plate e tra Nacional de Medellin e Nacional de Montevideo mentre in Colombia c’è un conflitto sociale, repressione poliziesca, morti e desaparecidos che crescono di giorno in giorno. Lo show non può continuare a qualunque costo». Anche i giocatori professionisti colombiani hanno preso posizione e in un comunicato hanno chiesto che «fino a che non si risolve l’attuale situazione di ordine pubblico che colpisce tutto il paese e mette a rischio la nostra integrità, non siano programmate le partite dei tornei locali».

Nelle strade, la decisione di far proseguire lo show non è piaciuta a “las barras” antifasciste delle principali squadre del paese. Ultras che sono naturalmente tra quei settori della società che manifestano contro il governo di Duque, si sono ritrovati uniti nelle strade a resistere agli attacchi della ESMAD nonostante le rivalità. Come è successo a Cali dove, nel pieno di un conflitto sociale molto teso, ultras dell’America e del Deportivo Cali lottano fianco a fianco in “primera linea”.

«Il calcio, lo sport più popolare, più visto e con più spettatori nel mondo non può servire per sviare o silenziare l’attenzione del pianeta intero sulla situazione che vive attualmente il popolo colombiano», denunciano i “Barristas Pereiranos”. Sulla stessa lunghezza d’onda la “Fiebre Amarilla”, gli ultras della selezione colombiana: «coerentemente con la crisi politica, economica e sociale che attraversa il nostro paese negli ultimi giorni e somata alla contingenza sanitaria dovuta al Covid-19, vogliamo manifestare il nostro rifiuto alla realizzazione della Copa América in Colombia e Argentina programmata a partire dal mese di giugno. […] Rifiutiamo tutti gli atti di barbarie che si stanno commettendo verso i compagni nelle strade, gli assassinii per mano delle forze militari, le evidenti violazioni ai diritti umani».

 

 

La Copa América probabilmente si farà, lo spettacolo deve continuare e non ci sono né pandemie né proteste sociali che possano mettere i bastoni tra le ruote al circo. Perché, oltre agli evidenti interessi economici che fanno girare il carrozzone del circo, come diceva il grande Eduardo Galeano, «il calcio e la patria sono sempre legati; e politici e dittatori spesso speculano su questi legami di identità».

 

Quel che è sicuro che continuerà anche lo sciopero nazionale e l’opposizione determinata allo svolgimento della Copa América, con las barras antifasciste di tutto il paese in prima linea a fianco degli altri manifestanti. Perché “si no hay pan, tampoco habrá circo”.