di Davide Drago

Integrazione, libertà, consapevolezza, antirazzismo e passione. Sono soltanto alcune parole che descrivono appieno cosa è Atletico Diritti. La polisportiva è nata nel 2014 dalla collaborazione tra l’associazione Progetto Diritti e Antigone.

La prima realtà è stata da sempre impegnata nel fornire assistenza legale alla comunità immigrate, la seconda è attiva, dalla fine degli anni ottanta, per i diritti e le garanzie nel sistema penale. Abbiamo intervistato Carolina Antonucci per farci raccontare la storia della polisportiva e soprattutto i nuovi progetti in cantiere.

Perché è nata la polisportiva Atletico Diritti?

La polisportiva è nata nel 2014, dapprima come squadra di calcio, una squadra “speciale” che metteva insieme le due diverse anime che hanno dato vita ad atletico diritti: il progetto diritti e Antigone. Una squadra che da sempre ha messo insieme migranti, rifugiati, persone in esecuzione di pena e studenti universitari. Per noi lo sport costituisce uno strumento ineguagliabile di integrazione e un grandioso collante sociale. Gli obiettivi sono quelli, da un lato, di offrire un concreto luogo di integrazione a ragazzi a rischio di emarginazione e, dall'altro, di proporre all'opinione pubblica un modello di antirazzismo, di tolleranza, di superamento dei pregiudizi e di uguaglianza nella diversità capace attraverso lo sport di parlare a tutte le età e a tutte le estrazioni sociali.

La squadra di Calcio dalla stagione 2014-2015 è iscritta al campionato di Terza categoria e per i primi due hanni ha disputato le sue partite casalinghe in uno dei campi più suggestivi della Capitale, quello della Polisportiva Quadraro Cinecittà, la quale nasce all’ombra dell’acquedotto romano, grazie all’ospitalità della Polisportiva, e al sostegno del Municipio Roma VII. Ha ricevuto il Premio Sport e Integrazione del CONI. Da anni partecipiamo al Mundialido, torneo per l’integrazione, dove abbiamo rappresentato l’Italia e la squadra Internazionale, ed in diverse occasioni disputiamo partite nel carcere di Rebibbia. Nell’occasione della presentazione della stagione 2017-2018 all’interno del carcere si sono infatti affrontate la squadra dell’Atletico Diritti, la squadra dei magistrati di Magistratura Democratica e la nazionale dei detenuti del carcere di Rebibbia. Oggi nella squadra di calcio dell’atletico diritti giocano due detenuti che grazie all’art.21, che regolarizza l’uscita per “permesso lavorativo”, riescono ad allenarsi e giocare con i compagni all’esterno del penitenziario.

Quali sono le altre discipline della polisportiva?

Nel maggio 2015 è nata Atletico Diritti Cricket, squadra di cricket composta interamente da immigrati residenti a Terracina, di origine bengalese e indiana che, grazie ad Atletico  Diritti, hanno finalmente potuto coronare il sogno di continuare a coltivare anche nel nostro Paese la loro passione per questo sport molto diffuso nei loro paesi d’origine. A Terracina gioca anche l’Atletico Diritti Terracina Football Club, squadra di calcio a otto, composta da giovanissimi migranti e rifugiati di diversa provenienza. A partire dalla stagione sportiva 2017/2018 è stata costituita la squadra di Pallacanestro, che fin da subito ha raggiunto ottimi risultati sportivi raggiungendo le semifinali Play Off del campionato di Promozione.

Quali sono i progetti futuri dell’Atletico Diritti?

Il nostro obiettivo è aumentare il numero di tesserati e di discipline presenti nella polisportiva. Abbiamo in cantiere progetti per coinvolgere le comunità migranti e i centri di accoglienza, i più piccoli e anche le donne.

Parliamo di donne e sport e dell’ultimo progetto che state mettendo in piedi all’interno del carcere femminile di Rebibbia. Come mai il calcio all’interno di un carcere femminile?

Le attività ricreative, tra cui lo sport, sono considerate dal 1975, anno della riforma dell’ordinamento penitenziario, uno dei pilastri del trattamento penitenziario che dovrebbe ottenere la rieducazione del condannato. Tuttavia dei 58.569 detenuti presenti nelle carceri italiane, soltanto il 28,1% pratica sport. Fra le donne, che sono 2.499, questa percentuale scende al 5,8%. Numeri nel complesso davvero bassi se pensiamo alla grande quantità di tempo a disposizione, anche a causa della non infrequente assenza di possibilità lavorative, educative e ricreative. Inoltre lo sport, il movimento e passare il tempo all’aria aperta sono essenziali, insieme a una buona alimentazione, per mantenere una buona salute psicofisica. Nei luoghi di privazione della libertà, purtroppo, anche a causa della carenza degli spazi, le attività sportive sono carenti e i detenuti passano la maggior parte del tempo nell’ozio. Negli istituti e nelle sezioni femminili l’offerta sportiva, seppur presente, conosce una contrazione nella scelta delle attività. Le più praticate sono la pallavolo, la danza (è qui ricompresa anche la zumba), la corsa, il fitness e lo yoga. Questo elenco sembra restituire un’immagine un po’ stereotipata delle donne, per cui l’unico sport di squadra praticato è la pallavolo.

Da quanto tempo avete iniziato e quali sono i prossimi passi che volete compiere?

Abbiamo iniziato da pochissimi mesi. La squadra, se cosi possiamo definirla, è composta da una ventina di ragazze provenienti da varie parti del mondo, africane, italiane, sudamericane. L’idea del progetto è quella di fornire alle donne ristrette nella Casa Circondariale di Rebibbia Femminile la possibilità di praticare uno sport di squadra come il calcio che, anche secondo alcuni studi commissionati dalla UEFA, può avere un impatto positivo anche sul temperamento e il carattere delle ragazze e delle donne che lo praticano, le quali riuscirebbero ad acquisire una maggiore fiducia in se stesse. Inoltre, in linea generale, gli sport di squadra permettono di imparare a vivere in gruppo, a rispettare regole comuni, ad acquisire uno spirito di solidarietà e di cooperazione con le compagne. Sin dal primo momento, nonostante molte non avessero mai dato un calcio ad un pallone, si è creato un bel clima carico di entusiasmo e divertimento. Ad oggi quello che stiamo portando avanti è una sorta di avviamento al gioco del calcio. La nostra aspirazione è quella di partecipare ad un campionato, ma abbiamo la consapevolezza di dover procedere per gradi. Oggi ci accontentiamo anche di una semplice amichevole. 

Quali sono gli ostacoli alla partecipazione ad un campionato, anche amatoriale?

La più grande difficoltà potrebbe sembrare legata al loro stato di recluse. In realtà non è cosi, infatti in Italia ci sono delle squadre composte interamente da detenuti che partecipano a campionati federali disputando tutte le partite in “casa”.

Il problema più grande è legato al campo da gioco. Infatti, all’interno delle case circondariali femminili non sono presenti campi da calcio regolamentari, proprio per i motivi di stereotipi che dicevo prima. All’interno del carcere di Rebibbia è presente un campo di cemento che non è regolamentare neanche per disputare un campionato di calcio a 5.

Come proseguirete, quindi, nel portare avanti questo progetto?

Ovviamente cercheremo una soluzione pratica per poter almeno iniziare a disputare delle amichevoli. Nel frattempo oltre a continuare con gli allenamenti e insegnare a tante come si gioca a calcio, vogliamo creare una coscienza che faccia percepire alle ragazze ristrette l’importanza del rispettare il fair play ed essere portatrici di comportamenti corretti confrontandosi non solo con le regole del gioco, ma dell’etica dello sport. Tutti valori che saranno importanti per loro anche fuori dalle mura carcerarie.