Curiosando tra i programmi sportivi ci si imbatte nelle chiacchiere banali, facili, ripetitive e scontate che acchiappano un odiens altrettanto banale, facile, ripetitivo e scontato. Persone che non chiedono molto, e a cui non viene dato molto. Tutti contenti. Ogni tanto però anche nei palinsesti tivù nazionali esistono alcuni che vorrebbero veicolare altri tipi di messaggio, qualcosa di più alto, perché come da queste pagine abbiamo ricordato a profusione, si sa quanto lo sport e, in primis il calcio, possano esseri letti non solo in modo banale, facile, ripetitivo e scontato.

Però, quando si fa questo tipo di salto di qualità andrebbe fatto con un coraggio che spesso è troppo rischioso e ci si ferma alla via di mezzo, non si arriva all’analisi completa o al messaggio davvero forte, perché altrimenti si toccherebbe solo una nicchia che di fronte al rifiuto di quelle persone che adoravano i discorsi banali, facili, ripetitivi e scontati, cosa contano? Se si prova a fare un discorso altro, forse sarebbe il caso di non limitarsi a solleticare le altre prospettive che esistono nella lettura dello sport, ma bisognerebbe davvero provarci fino in fondo.

Ecco, che in una di queste domeniche, mi sono imbattuto in un discorso di Gianfelice Facchetti, che non me ne voglia, perché non sentendolo sempre, le altre volte magari è avanti a un Cortazar di 100 anni, però la sensazione è stata quella di sempre, del tipo: “La sparo, però ve la faccio carina”. Se uno vuole che la gente non mangi solo da MC’Donald non deve dirmi solo che la lasagna di nonna è buona, chi lo nega, ma io poi devo dare una chiave un po’ più forte, affinché la gente non preferisca un hamburger mezzo di plastica alla lasagna de nonna. Ovviamente lui non parlava di quello, ma di tifoseria, di slogan razzisti e sbeffeggiamenti tra tifoserie romane, in cui l’offesa è sempre quella di essere ebrei. Bene, tutti d’accordo in questa critica, ma poi la soluzione: “Torniamo a quei tempi, in cui non entravano scritte, ma solo colori, niente slogan, ma passione pura”. Ecco di nuovo il calcio poetico e immacolato. Quanta verità. Che buona quella lasagna de nonna cara, ma domani in pausa pranzo c’ho quel Mc’Donald a portata di mano, tanto economico e colorato, e che fai non ci vai? Ed è qui l’errore a mio avviso, l’assenza di coraggio, che ripeto, magari nel suo caso è stata una coincidenza, ma che si ritrova spesso in queste analisi sociologiche, tra il serio e il faceto, ma che comunque sono viste da milioni di persone.

Il vero salto di qualità non sta nel fare di tutta un’erba un fascio, ma nella capacità di discernere tra c’ho che è bene scrivere, rivendicare, cantare e c’ho che non lo è. Non si deve avere paura di tutti gli striscioni, di tutti i cori, anche se esulano dal solo lato sportivo, ma bisogna avere paura di alcuni striscioni e cori. Non tutto è uguale, negli stadi, nei discorsi, nelle proposte che si fanno. Perché finire con il dire, che per evitare il rischio, è meglio che nessuno dica niente è un errore grave. Il problema è culturale e su quello c’è da lavorare, non da aver paura. Altrimenti sarebbe come dire che per evitare di mangiare cibo spazzatura, sarebbe meglio non mangiare niente. Ma io alle lasagne de nonna, non ci voglio rinunciare.