Quando parli di ciclismo e pensi ai sassi, alle pietre, pensi a quelle ben piantate a terra della Parigi Roubaix. Quelle che quando arrivi ti fanno male le mani e la schiena per le vibrazioni, quelle che ti costringono a passare sul bordo della strada e causano cadute e forature a ripetizione.

 

Non tutti lo sanno, ma il ciclismo e le pietre si incontrarono un’altra volta nel corso della loro storia, nei pressi di Trieste. Era il 30 giugno 1946, a Pieris, in quell’occasione le pietre volarono e no, non era stata la bora a sollevarle.

Nel 1946 il giro disputò la sua prima edizione del dopoguerra in un clima a dir poco incandescente. Partenza da Milano il 15 giugno, a poco più di 10 giorni dal referendum tra monarchia e repubblica. La carovana rosa si apprestava ad attraversare un paese in macerie, sia dal punto vista materiale che sociale. La Gazzetta dello Sport, che anche allora organizzava la manifestazione, mise in programma per domenica 30 giugno una tappa dal valore simbolico e politico devastante: Rovigo – Trieste. In quel momento, e sarà così per anni, l’area è controllata dagli Alleati ed il segnale degli organizzatori è chiaro: Trieste deve tornare ad essere italiana a tutti gli effetti. Naturalmente il messaggio arrivò forte e chiaro anche “dall’altra parte”, quella composta da slavi e da italiani che sostenevano l’appartenenza della Venezia Giulia alla Jugoslavia di Tito. Nonostante le pressioni per l’annullamento della tappa,  fatte proprio degli Alleati, questa venne confermata per il timore di proteste da parte italiana. Insomma, in stile, quello sì, “italianissimo”, la frittata era fatta ed oramai in qualche modo bisognava mangiarsela.

Già la sera prima della tappa, teniamo a mente questa caratteristica temporale perché tornerà utile in seguito, ci sono incidenti e scontri. Il giorno della tappa, a pochi chilometri da Trieste, piovono sui corridori sassi e pietre, qualcuno spara e c’è uno scontro a fuoco con i carabinieri. Fortunatamente rimane a terra solo qualche ferito lieve. Ad organizzare e mettere in pratica l’azione erano stati i sostenitori della “Venezia Giulia Jugoslava”: naturalmente i sassi non erano tanto per i ciclisti quanto per chi aveva messo in piedi quella tappa, che con lo sport aveva veramente poco a che fare. Riunione degli atleti, tra loro Coppi e Bartali, la tappa non prosegue, si ferma li. Stesso tempo per tutti e via in auto verso Udine. Solo in 17 arriveranno a Trieste, dopo un tratto in auto, per salvare “l’italico evento”.

La protesta eclatante non può essere compresa se non inserita nel contesto di quell’estate del ’46, scontri e conflitti erano all’ordine del giorno, le provocazioni a scapito degli slavi, che già avevano subito decenni di fascismo, erano parte della vita quotidiana. Un’idea piuttosto chiara della situazione e della volontà degli organizzatori emerge, in tutta la sua lapalissiana evidenza dagli articoli della Gazzetta dello Sport dei giorni seguenti. “[…] La strada vastissima è un nereggiare di folla che la percorre gridando: I-t-a-l-i-a, I-t-a-l-i-a, e muove alla volta dei corridori che pensano forse di essere precipitati tra le fiamme di un sabba infernale… Le acclamazioni aumentano di intensità. Non è più un sabba infernale, è un sabba di italianità”. (“La Gazzetta dello Sport”, 1 luglio 1946: La promessa mantenuta, di Bruno Roghi). “[…] Nessuna coreografia eroica: se tutti avessero lanciato pietre, se tutti avessero insultato e minacciato, forse era impossibile, forse era inutile andare. Ma il Giro è stato più forte, perché l’italianità della Venezia Giulia è stata immensamente più forte di ogni coreografia dissennata e tracotante… Non date retta ai tecnici, alle aride classifiche. Da oggi è la Venezia Giulia maglia rosa, maglia rosa del giro d’Italia e d’italianità”. (“La Gazzetta dello Sport”, 2 luglio 1946: Trieste maglia rosa, di Giorgio Fattori).

Sono trascorsi quasi 68 anni da quei giorni, in questo lasso di tempo il Giro è passato altre volte per Trieste e non si sono più ripetuti fatti di quella portata. Ma c’è chi sembra realmente richiamare toni che pensavamo morti e sepolti, è ancora una volta chi sembra voler utilizzare lo sport per altri fini. “[…] Si prepara un grande arrivederci al Giro d’Italia. L’arrivo conclusivo di Trieste della corsa rosa […] verrà celebrato niente meno che dalla Pattuglia Acrobatica Nazionale (Pan) delle Frecce Tricolori. Nove aerei MB 339 in formazione compatta accoglieranno infatti i corridori allo sprint finale con un volo di dieci minuti, senza solista. […] Un saluto degno delle grandi occasioni, che celebra anche il 60esimo anniversario del ricongiungimento della città all’Italia. […]” Questo non è un estratto della Gazzetta del 1946, è quanto scritto nel sito http://www.gazzetta.it nel 2014. Si perché proprio il 1 giugno il Giro d’Italia concluderà la sua corsa a Trieste. Niente da dire ovviamente, in merito all’evento sportivo in sé, quanto sul fatto che ancora un volta il ciclismo venga usato come mezzo normalizzante e propagandistico.

Ma naturalmente, in questi giorni in cui “vale tutto”, non poteva finire qui. Già la sera prima dell’arrivo di tappa, ve l’avevo detto che questa frase sarebbe tornata!, il 31 maggio, Trieste sarà teatro di un altro avvenimento. Questa volta veramente orribile: “Concerto Nazionalista”, questo il titolo che campeggia nei manifesti apparsi in città da qualche giorno. Il GUP “Gruppo Unione Difesa” di Trieste, questa la firma sui manifesti, nelle sue pagine on-line colleziona tutti i simboli e gli slogan dell’estremismo di destra filonazista. Dal comune dicono di non aver rilasciato alcuna autorizzazione, cosa che appare quantomeno scontata, visto che il concerto (folle già di per sè) si dovrebbe tenere a poche centinaia di metri dal luogo deputato all’arrivo di tappa del giorno dopo.

Nel frattempo, come fortunatamente sempre accade, le realtà antifasciste del territorio si stanno mobilitando per impedire con ogni mezzo lo svolgimento del concerto. Un appello che recita “Poiché l'antifascismo non si fa né per delega né per decreto ma coi corpi vivi, una parte della città degna ha preso l'iniziativa di organizzare una presenza contemporanea in quella stessa piazza, per una festa antinazista”, è già stato condiviso e firmato da numerose realtà, associazioni e singole persone. La lista delle adesioni si allungherà sicuramente nei prossimi giorni, a prescindere dal fatto che le istituzioni prendano o meno una decisione netta. Come nella situazione di Affile, di cui parliamo in un precedente articolo, sarebbe il caso che siano gli stessi organizzatori del Giro d’Italia a prendere, una volta tanto, posizione in merito.

Le strade di Trieste non meritano di essere percorse ancora una volta da personaggi squallidi, eredi di quei fascisti e nazisti che seminarono morte nel secolo scorso. In ogni caso, lo ricordiamo a chi ha poca memoria, quando a Trieste passa il Giro, capita che ti viene in mente che, quando parli di sassi e ciclismo, non parli solamente della Parigi Roubaix…